Toccherà a me

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PEDONE

Le parole possono scavarti una fossa attorno, possono farti sprofondare sotto il pavimento lucidato e farti cadere nel vuoto senza mai farti toccare terra: una caduta perenne, più vai sotto, più scopri che non l'oscurità può diventare più buia, e la caduta lenta. Le parole sono una scelta che poggerà sulla mia testa. Un momento, un solo secondo per cambiare l'anima di una persona, per annullarla e schiacciarla sotto un destino che non le appartiene.

Invece.

Invece le ginocchia mi si fanno pesanti e sembra che il mondo intero si inclini, spaccandosi al centro, perché quella persona sono io.

Sto trattenendo il respiro. Me ne accorgo solo perché il petto si fa duro, i polmoni chiedono aria, ma questo dolore mi piace. Vorrei trattenere ancora e superare i limiti per riconoscere che sono vivo, che questa è la mia vita e ne ho il controllo.

Forse non è così.

«Non posso» dico, ridicolo. Due parole che non significano niente sotto questo soffitto candido, governato dal rilievo di un colossale serpente. Sembra fissarmi, anche senza guardarlo la sua presenza mi preme, minacciando di abbattersi su di me.

Le mie parole rimbalzano, volano sulle colonne stagliate una dietro l'altra, conoscono le mura e l'aria gelida di questa sala, ma non valgono niente.

La regina si abbadona sullo schienale. «Niente può essere come prima, dopo che sei entrato tu. Capisci?» la sua voce è inquinata, non suona sua, e cerca di velarlo con un tono leggero. «Hai dimostrato poteri forti quanto quelli di tua sorella. I sudditi sono esigenti».

«Esigenza che dedici di assecondare ora?» chiede Diana, pungente.

«Esatto».

Sbuffa. «Mi stai detronizzando dopo anni di tutto questo» fa, afflitta dalla frustrazione. Incassa il mento, prendendo una distanza importante dal corpo di nostra madre. Le sto rubando il trono da sotto al naso e senza volerlo, ho paura che se spostasse la sua attenzione su di me, potrei leggere odio, invidia.

«Io non ho-» poteri. Questo non è più vero, stento a crederci. «Cosa cambio, io?» mi azzardo a dire, deglutendo a fatica con il metallo che mi schiaccia sul pomo. «Non sono un re» ammetto, sentendomi nudo davanti a tutti. Loro stanno ascoltando persino i nostri gesti, come se fossimo in uno spettacolo teatrale. Ma qui si sta decidendo la mia sorte e quella del regno.

«No, dici?» quasi ride, poi torna seria. «Lo sei».

«Sono cresciuto in un sobborgo» evito di tremare, mi tengo saldo alla motivazione che ho per essere qui. Lei deve sapere. È giusto che sappia cos'ha fatto. Quella che hai davanti non è lei. «Quel trono è per Diana».

Victoria sembra sostenermi nel discorso, annuendo velocemente sotto il trono di mia sorella. Osservo fulmineo chi ho davanti, tra altre guardie e pochi servitori mi soffermo su Vaelian, sguardo perso. Mi domando se dietro di me si trovano dei cortigiani.

«Il trono è di un re». Elania si alza, le balze della gonna scivolano giù sul piedistallo. «La nobiltà così non avrà da contestare. Di diritto, il trono spetta a te e a futuri monarchi che hanno più potere rispetto alle principesse ereditarie. Dunque, è la decisione giusta» ruota il busto verso Vaelian. «Jeremy prenderà la corona» sentenzia, ponendo un punto capitale. «Avrai tempo per esercitarti».

Jeremy prenderà la corona. Non si rivolge nemmeno a me, come se non esistessi davvero. Lui prenderà la corona, non tu. E chi sono io? Un figlio disconosciuto, una larva di me stesso dentro questa corte. Neanche il tempo di vedere l'ingresso, che mi hanno cancellato e ricostruito senza che lo volessi.

DARK CROWNDove le storie prendono vita. Scoprilo ora