Lontano

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CAVALLO

Sono venute a cercarmi.

L'odio del popolo contro le istituzioni non è una novità, è come il fuoco della miccia che arriva al termine di contatto con la polvere da sparo. Non mi stupisco che alcuni popolani si alzino nell'immediato lanciando i loro bicchieri stracolmi.

Non ho tempo di pensare bene a cosa fare, mi alzo dallo sgabello presa dalla frenesia a un vecchio bitorzoluto rovescia il tavolo vicino al nostro, facendoci piovere accanto pezzi di vetro.

Sono qui per me.

«Dobbiamo andarcene» urlo a Eiden per sovrastare il chiasso. Gli uomini di Elania conoscono la violenza, ma anche il popolo cresce nella violenza ed è naturale che li combattano: non sanno che qui ci sono io. La principessa ereditiera.

Lui mi prende il braccio e mi trascina dietro il tavolo rovesciato, nascondendoci. «In mezzo alla confusione potrebbero colpirci» dice.

Ha ragione, ma non vorrei che la avesse. Non avrei voluto che mia madre arrivasse a questo punto. Mi affaccio dal bordo del tavolo abbastanza per far entrare nel mio campo visivo i capelli di una donna aggrovigliati nelle mani di un uomo, poi una spada che le sfiora le orecchie.

Chiudo gli occhi e mi ritraggo. È colpa mia. L'aria si appesta dell'odore aspro del sangue, mi inquina. «Distruzione» dico a Eiden. «È quello che ti dicevo».

Ma io non posso stare ferma.

Mi alzo, e nello stesso momento un uomo salta fuori da un tavolo e si scaglia contro l'uniforme nera. Riesce a scalfirla senza affondare nella carne, il che lo immobilizza il tempo necessario per farsi sferrare un colpo cieco alla gamba.

«Pykre!» urla il ragazzo delle ordinazioni. Lo sento ringhiare come un animale, vedo la rabbia salirgli nelle vene e so cosa prova.

Vorrei poter liberare i miei poteri. Lo faccio. Eiden si accorge del tremolio e mi afferra il pugno. «No» tuona. «Vuoi che se ne accorgano? Uccideranno tutti perché penseranno che ci stanno coprendo».

«Lo stanno già facendo» ansimo, fissandomi le mani tese. «Loro hanno questo ordine per me».

«Perché tua madre sa come sei!»

Provo a muovere i piedi, rimangono saldi a terra. Agisci. Agisci. Deglutisco, ma non riesco a muovermi. Il ragazzino invece afferra veloce l'elmo della guardia e lo sbatte sulla testa. Quello perde l'equilibrio finché non viene spinto, dopo il ragazzo gli salta di sopra continuando a schiacciargli la testa contro l'elmo. Le sue dita si fanno di sangue e io provo piacere. Il piacere che fa scorrere veloce le idee, che alleggerisce il corpo e fermenta nello stomaco. Per questo non mi accorgo di avanzare verso l'ultimo cavaliere.

Prendo il primo calice che vedo e lo rompo sul tavolo, rimangono le schegge di vetro. Ne stringo una, forse mi taglio ma non avverto dolore. Non importa.

Se è questo è il male che succede nel mio regno, il cavaliere lo incarna. Lo attua. È per questo che lo devo fermare.

Mi abbasso il cappuccio, lui non si accorge di me. Nonostante sia qui per recuperarmi, la sua sete di sangue è superiore. Più importante. Le urla di quelli che si stanno difendendo si mischiano con quelle che vengono da fuori. Qui siamo rimasti in pochi, le donne sono fuggite.

Gli vado dietro, lenta e letale. Poggio la mia mano libera sul suo elmo e lui cerca subito di dimenarsi. «Sono Diana» gli dico all'orecchio. Sollevo il pugnale di vetro e lo appoggio alla sua gola. «Fermo». Mi obbedisce.

Invece no. È più veloce di me, con una gomitata sulle costole mi fa piegare in due e mi affanna il respiro. Sono stata lenta, ne pago le conseguenze. Il suo guanto pesante mi spinge sulla nuca e le ginocchia cedono.

Eiden se ne accorge ed esce dal riparo buttandoglisi contro. Lo spinge contro il muro e tanto basta per confonderlo. Due in uno, starà pensando.

Mette una mano alla spada, io lo vedo. No. Non lo permetto.

Guardo Eiden, lui non ha niente, neanche la scheggia che ho perso. «La sedia» sussurro, nelle urla non si sente niente. A malapena sento me stessa.

Per colpa del respiro irregolare mi gira la testa, però mi alzo ugualmente. Mi appoggio alla sedia e la trascino con me mentre piccoli frammenti esplodono sotto il mio peso.

Il principe sgancia un pugno contro una parte dell'armatura, forse la più debole, perché l'altro si piega. Sposto la sedia e la faccio cadere vicino a Eiden, sperando che se ne accorga. «Prendila!»

Mi fermo e il pavimento trema, il lampadario oscilla e la puzza di sudore e sangue mi arrivo fino alle narici.

Stringo i pugni, la vena nel collo mi pulsa quasi a scoppiare. I miei passi verso l'uomo di mia madre si fanno pesanti, si imprimono sulle mattonelle. Il muro si crepa e si spezza, cadono i quadri. Le travi di legno scricchiolano. Non sento più i rumori della battaglia, ma i miei.

Premo il palmo contro la sua visiera. Piano, si accartoccia, i bulloni cadono. La materia cede il posto alla polvere. Uno di quei ragazzi tira un calcio al cavaliere della regina, ma lui non si può muovere. È immobilizzato dal mio potere che lo sta sbriciolando.

Dell'elmo è rimasto poco e niente.

Fermati, mi dico. Mi viene difficile, vorrei continuare fino a polverizzare anche la sua carne, il suo sangue.

È grazie a Eiden che rinsavisco.

Mi urla di spostarmi, faccio appena in tempo a muovermi che prende la sedia e la scaraventa sul nostro nemico, spaccandola.

I pochi rimasti gli si buttano addosso, così mi faccio indietro. I miei occhi non sanno dove guardare. Eiden mi prende le braccia e mi trattiene. «Diana» mi dice. «Diana, usciamo. Ne stanno venendo altri». Mi trasporta dietro il bancone, aprendo una porticina che non è quella principale. Il vento mi soffia aria nuova, i polmoni sembrano ringiovanirsi e risanarmi. Respiro profondamente con avidità, piano le forme si fissano.

Non mi accorgo che Eiden sta già parlando. «...il fiume».

Lo guardo. «Cosa?» Credo di essere nel retro del locale, sotto un capannone.

«L'unica guardia che ti ha vista è morta, quindi non sanno che siamo qui».

«Ma gli altri sì».

«Non diranno niente, li abbiamo aiutati. Poi sperano in te». Non rispondo, lui continua. «Devi ripercorrere il fiume e tornare da dove siamo usciti».

«Devi?» ripeto, affannata. «E tu cosa vuoi fare?»

Si morde il labbro. «Se torno sai anche tu che non succederà niente di buono» dice con tono pacato.

«Ti rassegni così?» So quello che intende, ma non è giusto. «Abbiamo deciso insieme».

«Non importerà a tua madre. Non è rassegnarsi, è accettazione».

«Si tratta di mettersi in pericolo. Tu ti metterai comunque in pericolo e mia madre cercherà qualche altro principe». Lui non può tornare né nel suo regno, né a Hosgrave adesso che tutti a Palazzo ne sono a conoscenza.

Annuisce, ha il naso lucido. «Saremmo stati dei buoni nemici, forse».

«Forse». Sarebbe stata un'altra vita, sarei stata meno sola. Non avrei avuto solo Victoria. «Forse no». Perché non lo conosco. Non so quale sia il suo desiderio più grande, né perché suo padre l'ha cacciato. Di sicuro sarebbe stata una nuova scoperta, insolita per Hosgrave. «Sotto il mio regno troverai una casa, tra pochi mesi».

«Lo spero».

Mi avvicino e gli avvolgo le braccia intorno. Non gli chiedo niente di quello che farà, preferisco non saperlo.

Avrò questo come ultimo ricordo. Un abbraccio senza maschere.


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