Drug (AMABEL)

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Non esiste nulla di così ingannevole come un fatto ovvio.

Rifiutarsi di riconoscere un pericolo quando ci pende sulla testa è da stupidi, non da coraggiosi.

Chiudo gli occhi, la bocca e respiro quanta più possibile aria possa circolarmi in corpo: ormai una vasca in cui invece di sangue scorre acido.

Da poco più di sei giorni se non vado errato... o forse erano dodici? Mi sento così dall'altra parte della realtà che i miei ricordi sono abbastanza vaghi e confusi.  

Storgo l'angolo destro della bocca in un sorriso involontario, ma che sento estendere dai muscoli facciali, per poi ripiombare in una sorta di trance: osservo con diffidenza e paura intorno a me, come se dalle coperte logore in cui sono aggrovigliata potesse uscire un mostro da un momento all'altro; eppure è proprio ad esse che continuo ad aggrapparmi in senso di difesa, ritirando le gambe incrociate verso il mio addome.

Con un gesto brusco scosto poi la coperta continuando a scalciarle contro con i piedi, e mi rimetto in posizione eretta cercando di mantenere l'equilibrio dopo aver rischiato di cadere all'indietro, sollevo le braccia in alto per distendere meglio il mio corpo, ritrovandomi subito dopo con una sensazione di estremo benessere, che tuttavia, svanisce il secondo successivo.

Sono però costretta a chinarmi nuovamente quando noto che ho lasciato il mio materiale a terra.

Sbuffando, e dopo diversi vani tentativi,  raccolgo le siringhe stringendole tra le dita all'interno delle tasche della felpa che indosso, dopodiché inizio a posare man mano un piede davanti all'altro, di ritorno verso il 221b; mentre cammino è proprio il problema del ritrovare la strada che mi convince a prendere un taxi, benché non abbia un soldo in tasca, così decido di affidarmi alla mia mappa mentale, non prima di essermi equipaggiata di una corda.

Mia zia era sposata con uno spacciatore, ma  non sarebbe comunque contenta di vedere sua nipote nelle condizioni in cui è; in cui mi trovo attualmente.

Non ho trovato altra via d'uscita alla pericolosa situazione in cui mi sono ficcata con le mie stesse mani quasi tre settimane fa, questo lo ricordo molto bene, e che ha portato al mio rapimento da parte di uno dei più letali e spregevoli individui esistenti sulla faccia della terra, di cui ho memoria solo della voce e del nome che ho letto sul bigliettino di carta che trovai posato sul mio ventre, appena ripresi i sensi sullo stesso posto in cui svenni.

Moriarty.

Posso chiedere aiuto? No, non posso proprio farlo; per quanto mi senta in colpa non poter rivelare a Sherlock ciò che è suo diritto sapere, e cosa sto affrontando a causa di questo segreto, parlare con lui sarebbe il peggior passo falso che potessi compiere.

La minaccia è stata chiarissima: lui ne avrebbe pagato le amare conseguenze ed io non voglio essere la causa della sua morte.

Rimarrei devastata senza alcuna possibilità di ripresa.

L'ultima soluzione che ho trovato risiede nelle sostanze stupefacenti, pessima strada, lo so: ho dato il via ad un meccanismo di autodistruzione, ma almeno salvaguarderà la vita dell'uomo che amo; non è per niente semplice per me mantenere i nervi saldi, soprattutto farlo per un uomo che non ti amerà mai, anzi, che ti farà soffrire moltissimo, ma i miei sentimenti per il detective sono più forti di qualsiasi altra cosa.

Devo farcela a tutti i costi.

La mia mappa mentale mi ha, fortunatamente, condotto fino alla porta del 221b; preparo la corda munita di ancoretta di metallo, sollevo brevemente lo sguardo verso il balcone del primo piano, dopodiché faccio roteare la fune e la lancio verso le sbarre della ringhiera, sperando si agganci.

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