The Reichenbach fall: Parte sei (AMABEL)

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Sono seduta sulla sedia del tavolo in cucina a strofinare in continuazione le dita contro i palmi delle mani ed a fissare da un po' lo stesso punto fisso davanti a me, senza battere ciglio, a causa del nervoso e dell'agitazione che non hanno mai abbandonato il mio corpo da quando John è uscito di casa dopo avermi promesso di riportare qui Sherlock.

È trascorsa un'ora, ormai, perché non sono ancora tornati?

Ho sentito più volte l'impulso di uscire e raggiungerli, ma il mio corpo è rimasto completamente bloccato assieme al timore della situazione che avrei potuto trovare; non riesco a fare a meno di sentirmi una vigliacca per questo.

In questi lunghi sessanta minuti mi sono ripetuta che non è detto che debba per forza essere capitato qualcosa di negativo, forse sono stati costretti a sfuggire ancora dalla polizia e questo spiegherebbe il motivo del loro ritardo, infondo il detective è ancora ricercato dallo Scotland Yard perché creduto un criminale; non so cosa mi renda più nervosa, in realtà: se tutto quello che è successo, oppure il fatto che Sherlock e John non siano ancora arrivati.

Ogni volta che cerco di auto tranquillizzarmi ripiombo in un attacco d'ansia, come in questo momento.

Circondo la testa con le mani madite di sudore e chiudo gli occhi, respirando profondamente a bocca socchiusa, cercando di ripetere il tutto in modo regolare.

Proprio quando questo metodo sembra apparentemente funzionare, il cigolio della porta d'entrata della cucina mi fa alzare di scatto la testa e ricevere un balzo bollente in pieno stomaco: quando mia zia, appena affacciata con la testa, mi annuncia che delle auto della polizia sono appena arrivate davanti a Baker Street, mandando all'aria tutti i tentativi di rilassamento balzo via dalla sedia, correndo fino al marciapiede fuori casa con il cuore in gola.

Oltre agli altri agenti, nel vedere scendere da un auto Lestrade l'ipotesi che Sherlock e John siano stati davvero arrestati e che ora la polizia è venuta qui per comunicarcelo, diventa più concreta nella mia mente; non riesco a trattenere un moto di rabbia, che sono però costretta a smorzare nel momento in cui noto la strana espressione sul volto dell'ispettore, tanto più quando dalla stessa vettura lui aiuta a far scendere John.

Se l'espressione di Lestrade mi era parsa strana, quella di John invece mi spaventa letteralmente: il viso è pallido come un lenzuolo ed ha lo sguardo abbassato e perso nel vuoto, apparendo quasi in stato di shock.

Un uomo come lui, abituato a vivere situazioni scioccanti a causa della guerra, paralizzato in quel modo mi fa presupporre che sia successo qualcosa di veramente brutto per ridurlo in un simile stato e nella mia testa preme più che mai il brutto presentimento che non mi ha mai abbandonata.

Ho una terribile paura di scoprire cosa sia successo davvero, ma il non sapere talvolta è peggio del saperlo, benché gli effetti siano comunque allo stesso livello, per cui lentamente muovo una gamba davanti all'altra fino a quando non sono alla giusta distanza da Watson per chiedergli finalmente (dopo un enorme sforzo) cosa sia successo.

Lui dapprima non alza gli occhi lucidi, limitandosi a muovere a malapena le labbra, ma continuando a restare nel silenzio più totale, contribuendo solo a far crescere in me l'agitazione più brutta che abbia mai provato; ormai la brutta situazione che immagino mentalmente ho capito che è purtroppo una realtà, ma non sapere ancora di cosa si tratti mi corrode dentro come l'acido.

"J... John... cos'è successo a Sherlock?" sarebbe inutile chiedere dove sia, è ovvio che è accaduto qualcosa a lui essendo l'unico che manca.

Il mio corpo fisico inizia a subire gli effetti dei miei pensieri quando, nel pronunciare questa domanda, la voce viene esce dalla mia bocca in un mormorio traballante appena udibile, le labbra mi tremano come foglie e gli occhi permettono già alle prime lacrime di sfuggire al mio controllo.

The Game Is On "Sherlock" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora