The final problem: Parte uno

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Non potevo permettere che Amabel ti dicesse dell'esistenza di Eurus, Sherlock, come fosse una delle classiche verità tenute nascoste dal fratello antipatico; questa non è una semplice verità, quanto un incubo da cui tu sei fuggito e riportartelo alla mente in maniera normale sarebbe stato dannoso per te.

Eurus non parla semplicemente con la gente, le schiavizza, le riprogramma.

Sapeva farlo già dall'età di cinque anni, ora invece è adulta.

Queste parole pronunciate da mio fratello risuonano in continuazione nella mia testa come un nastro mai interrotto, mentre attendo fermo davanti all'entrata della porta dove si tengono gli interrogatori ed una volta che mi viene consegnato il pass d'accesso esco dalla stanza senza dire nulla.

Camminando nel lungo corridoio dalle pareti grigiastre, sollevo leggermente il viso semi nascosto da un cappello sprovvisto di visiera ed osservo con un sorriso compiaciuto il biglietto distinto con fotografia, nome e cognome che mi è stato appena affidato volontariamente dall'uomo che si occupa della momentanea gestione del luogo in cui mi trovo.

Nessuno ha notato il trucco, per fortuna.

L'area è ipersorvegliata, di conseguenza sarebbe praticamente impossibile infiltrarsi senza essere scoperti; sarebbe, per l'appunto, perché a tutto esiste un punto debole, anche nella massima sicurezza, il cosiddetto lato ingannevole nell'affidarsi ad un semplice distintivo: tutti smettono di guardare le facce, di conseguenza potrebbe entrare chiunque.

Tanto valeva travestirsi da clown, almeno sono satiricamente rilevanti.

Dopo l'esplosione di Baker Street causata da Eurus, mio fratello ha ritirato i propri dubbi riguardo la fuga di nostra sorella e per avere l'ulteriore certezza che Eurus sia effettivamente evasa, io, John e Mycroft ci siamo recati, sotto copertura, nella fatiscente isola dove si erge la fantasmagorica struttura di massima sicurezza di Sherrinford abbracciata da un banco di leggera nebbia bianca.

L'evasione di Eurus è un motivo ben più che valido per giustificare un travestimento.

Mentre Mycroft e John si occupano di raggirare le guardie, io mi piazzo di persona sulla strada del demone più influente e, da quanto mi è stato raccontato, intrattenibile rinchiuso all'interno di quest'inferno apparentemente silenzioso.

In realtà è un campo minato.

Ad essere fuggita è fuggita, ma la vera domanda è: come?

E ora? Se è rientrata, come avrà fatto? Ha usato la stessa tecnica? Come si muove? Con quale tattica? In che modo riesce a schiavizzare le persone che la circondano? Si tratta comunque una sola persona.

E John ha spesso considerato il come una futile domanda, ad esempio quando sono tornato a Londra dopo i due anni in cui mi sono finto morto, ripresentandomi da lui in quel ristorante, per giunta interrompendo la sua dichiarazione amorosa con Mary; oppure quando ho organizzato il nostro incontro nell'appartamento in cui Eurus si è finta la sua terapista... non è stato difficile ritrovare la reale psicologa, o quel che restava di lei all'interno di un sacco nel locale caldaia.

Seguo le istruzioni di mio fratello tramite l'apparecchio acustico appoggiato al mio orecchio sinistro, ed arrivato a fine corridoio, dopo aver consegnato a due guardie poste nei muri laterali il mitra che porto con me, oltrepasso la porta di sicurezza che conduce alla cella di mia sorella, dando una fugace prima occhiata alla sua figura attraverso le telecamere collegate direttamente alla stanza (a quanto pare è tornata).

"Perché portate le cuffie?" domando ad un certo punto ad uno dei secondini, poco prima che le porte scorrevoli si chiudano.

"Lei suona di continuo il violino..." risponde l'uomo, senza mai battere ciglio.

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