Unfair tripping: Parte tre (AMABEL)

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Ho ricevuto la risposta alla mia domanda.

Ma certo, ovvio... un psicopatico come Moriarty ha le proprie regole in cui l'omicidio rappresenta solo una delle tante carte che posso essere pescate, sfortunatamente, dal suo mazzo, in base al gioco che vuole condurre.

E chi dice che la donna, capo della società segreta cinese dei Loto Nero con cui Sherlock si è trovato a dover fronteggiare in un caso risalente a mesi fa, ritrovata morta in un appartamento non possa essere stata in realtà un'altra cliente dello psicopatico criminale, magari poi uccisa da lui stesso?

Lui non vuole essere identificato, il movente potrebbe essere stato proprio questo.

Non potrò mai sapere come sia andata, ma potrebbe essere effettivamente così; se nel riflettere si aggiunge malizia e diffidenza vengono fuori particolari ritenuti banali, assurdi e persino sconosciuti.  

Io non ho mai incontrato Moriarty di persona, ma se avessi anche solo provato a cambiare una parola del messaggio da inviare a Sherlock, sarei saltata in aria; il mio primo rapimento è stato solo il riflesso di ciò che ho appena affrontato e che voglio assolutamente dimenticare.

"Oh! Santo cielo!" grida mia zia da fuori il corridoio di casa, usa un timbro così acuto da fare tremare i vetri delle finestre; la polizia mi ha riportata da poco al Baker Street e, sorprendentemente, ho appreso che lei non sapeva nulla di quello che mi è successo.

Dopo che l'enigma è stato risolto ho sentito l'aria attraversare di nuovo i miei polmoni ed il cuore riprendere a battermi nel petto.

Ho sempre nutrito fiducia nelle capacità di Sherlock, sapevo che ce l'avrebbe fatta, ma la paura è la peggiore nemica della mente: a prescindere dall'esito, le circostanze nel mezzo sanno infonderti la realistica sensazione che quello sarà il tuo ultimo giorno di vita.

Appaiono possibili immagini mentali sulla vita che le persone a te vicine condurrebbero se tu non ci fossi più; eppure non riesco a vedere la figura dell'uomo che amo, o forse ho ancora una volta paura di quello che la realtà dei fatti mi possa costringere a far vedere.

Dopotutto è John ad essere sceso per accertarsi delle mie condizioni, sia fisiche che mentali, mentre lui è rimasto di sopra, nonostante i tentativi da parte di Watson; John non me l'ha detto direttamente, ma non c'è bisogno che lo faccia perché io lo capisca da sola.

Neanche un'occhiata silenziosa, giusto per vedere come sto, anche attraverso il vetro della porta.

Non credo si tratti solo della sua incapacità di relazionarsi: l'uomo che ho accanto ne è la prova, sono io a non essergli mai andata a genio tranne quando non gli servo per qualcosa, benché a questo punto, nelle condizioni in cui verso, dubito di poter essergli utile.

Grazie a Watson, nel freddo detective sta avvenendo un lento cambiamento interiore, difficile da notare per una persona esterna, ma non per una che vive nella sua stessa palazzina.

Sono sicura che persino Molly ha quel briciolo di attenzione che tanto vorrei.

Una piccola attenzione da parte di Sherlock per me sarebbe il momento felice a cui penserei in ogni brutta situazione che dovesse capitare.

Questo mi fa molto male, ma devo sforzarmi di accettarlo così come ho accettato da tempo che tra me e lui non potrà mai esserci niente; tuttavia, i miei occhi continuano a pizzicare senza che io possa fermarli.

"Ti senti meglio?" mi domanda ad un certo punto l'ex militare, seduto alla mia sinistra; alzo lo sguardo verso i suoi occhi azzurri ed annuisco dopo un paio di secondi, tornando poi a contemplare la tazza di tè ancora piena: non non ho proprio voglia di mettere niente nello stomaco perché lo vomiterei all'istante "Amabel, ascolta" sospira John, incrociando le mani sul tavolo "Restare chiusa in casa non ti farà bene. Capisco se magari hai timore di uscire dopo quello che ti è successo, è normale, ma in questo momento... è strano da dire, ma... Baker Street adesso non è il luogo adatto a farti stare meglio. Hai bisogno di uscire, devi prendere aria. Se vuoi, domani ti accompagno da Molly"

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