Promises: Parte uno (AMABEL)

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Basta esattamente una goccia per far traboccare il vaso, una folata di vento per sollevare una piuma, ed è proprio ciò che mi è appena successo: la mia mente è attualmente così fragile come quella piuma ed a causa di un forte attacco di rabbia ha ceduto rivelando involontariamente la verità che mi ero ripromessa da quattro anni di non confessare mai a nessuno, sulla vera paternità di Zefiro.

Tre semplici secondi possono avere conseguenze tanto per un minuto, tanto si possono protrarre per molto tempo, addirittura per sempre, ma adesso la mia preoccupazione assoluta è rivolta all'uomo che amo che sta morendo disteso sulla barella: quando i medici gli aprono la camicia sporca di sangue per constatare sul punto d'entrata del proiettile, leggermente a sinistra del torace, la gravità della situazione, le parole animate provenienti dalla loro bocca e da John stesso mi indicano che lo stiamo perdendo.

Mi volto momentaneamente a guardarli, incredula da quello che ho ascoltato, tornando poi immediatamente a concentrarmi sul detective.

"Sherlock! Sherlock, non puoi fare una cosa del genere per davvero, mi hai sentito? Non puoi andartene davvero" gli accarezzo ripetutamente la guancia sinistra, circondandolo con il mio braccio, catturata dall'ansia peggiore che potessi avere mentre le lacrime che mi escono a fiotti dagli occhi gli bagnano il viso e la mascherina dell'ossigeno che porta, impedendomi una vista nitida: la pelle è fredda e pallida, i suoi occhi sono appena socchiusi e la testa si muove appena solo per il movimento dell'ambulanza (un'ansia che si aggiunge è che lui possa aver sentito la mia confessione, ma ma mi dò nuovamente della stupida per aver pensato a questo in un momento in cui lui sta lasciando questo mondo); appoggio la fronte sulla sua, abbassando le palpebre: se lui morisse, Zefiro si ritroverebbe sul serio senza un padre "Devi resistere, amore mio, avanti. So che la puoi fare. Avanti!"

Quando arriviamo in ospedale John è costretto a staccarmi da Sherlock brandendomi per le braccia e tirandomi indietro, automaticamente mi volto verso di lui, circondandogli il collo che le braccia, mentre la mia mascella continua a tremare; lui cerca di tranquillizzarmi in ogni maniera possibile, accarezzandomi la nuca: è già successo in passato che Watson mi abbia abbracciato per consolarmi ed io l'abbia fatto a mia volta con lui, con l'unica terribile differenza che ora Sherlock sta rischiando di morire davvero, senza nessun trucco.

Riesco già ad immaginare cosa farei in simili circostanze avendole già vissute e se dovesse accadere ora sarebbe peggio, perché ora c'è una persona in più che impazzirebbe di dolore: con la sua ipersensibilità nei confronti di Sherlock, suo padre, Zefiro cambierebbe completamente carattere finendo per tornare ad essere ancora di più quel bambino chiuso e diffidente verso chiunque.

Sarebbe troppo da sopportare per me.

Un paio di ore dopo, non so per la precisione quante ne passano, non abbiamo ancora avuto nessun tipo di notizia sulle condizioni di Holmes; non so se considerarlo positivo o negativo il fatto che i medici stiano impiegando così tanto tempo per informaci.

Forse non sanno come comunicarci che purtroppo si sono dovuti arrendere, o forse lo stanno stabilizzando... non lo so, non riesco nemmeno a pensare in questo momento.

Resto seduta su una sedia in sala d'attesa, difronte alla porta della sala operatoria dove si trova Sherlock, con il busto piegato in avanti ed il viso nascosto nella mano sinistra; ad un certo punto avverto una mano posarsi sulla mia spalla destra.

"Ehi" John mi scuote gentilmente, la sua voce però possiede ancora un pizzico di shock "Ti ho portato qualcosa da bere " scuoto la testa senza smuovermi dalla mia posizione: non ne ho la forza fisica e la volontà, anche perché so cosa a lui preme sapere ora, oltre alle condizioni del suo migliore amico, e non mi sento ancora pronta ad affrontare l'argomento "Non voglio parlare di quello che pensi, Ami, non sarebbe il momento adatto, me ne rendo conto..." espello un istintivo sospiro di sollievo, mentre John mi accarezza la schiena: deve aver capito di avermi tolto una buona parte della preoccupazione che mi attanaglia con quella frase "Però voglio che bevi un po' di tè, in queste condizioni ne hai bisogno... fidati, sono un dottore, so quello che dico. Forza. Vedrai, andrà tutto bene"

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