Two years later: Parte uno (AMABEL)

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Respiro ed ispiro rapidamente diverse volte prima di seguire le indicazioni dell'infermiera: spingo con tutte le mie forze serrando i denti e le palpebre, mentre con la mano sinistra appoggiata sul materasso del letto d'ospedale tengo sollevato il busto dal cuscino, e con l'altra stringo, forse fin troppo forte, considerate le lamentele da me comunque ignorate, quella di John.

Il sudore mi cola dai capelli umidi incollati alle tempie a strisce sulle guance.

Il fatidico momento del parto è arrivato in piena notte con fortissime contrazioni che non mi permettevano di riuscire quasi a farmi stare in piedi; sono stata portata, con la costosissima auto sportiva di mia zia ereditata con i soldi del mio defunto zio, nella struttura ospedaliera e messa nella mani dei medici, dove dopo qualche ora è sopraggiunto anche l'ex coinquilino di Baker Street, offrendosi di darmi letteralmente man forte in un momento delicato come questo.

Quando alle mie orecchie giunge finalmente l'acuto pianto disperato, contemporaneamente mi lascio ricadere contro il cuscino a palpebre abbassate e bocca socchiusa, allentando la presa ferrea sulla mano di Watson e strofinandomi quella libera sulla fronte imperlata di sudore, sentendo finalmente il battito cardiaco, la respirazione ed il fitto dolore al ventre scendere pian piano di intensità fino a regolarizzarsi, dandomi la tregua che bramavo sin dall'inizio.

Giro il viso stanco alla mia destra: è John a porgermi tra le braccia il piccolo bozzoletto di coperte bianche dove al suo interno è custodita la minuscola e morbida creaturina che ho appena dato alla luce.

Gli infermieri nel frattempo ci concedono un paio di minuti da soli.

"Congratulazioni!" mormora John sorridendo, commosso "È un bel maschio" sposto il mio sguardo, altrettanto carico di commozione, da John al nuovo arrivato che prendo in braccio con estrema delicatezza ed inizio a cullare con dolcezza in modo da placarne il pianto, cosa che mi riesce stranamente quasi subito: i miei sforzi sono stati ben più che soddisfacentemente ripagati con quel visetto paffuto e caldo; sfioro con le dita le manine chiuse a pugnetto di con cui con una copre il nasino mentre dell'altra succhia il pollicino, spostandogliele piano, curiosa di vedere bene tutti i particolari che lo caratterizzano, ma il regalo più bello è il piccolo stesso a concedermelo quando apre anche gli occhietti rivelando una tonalità azzurro ghiaccio che mi trafigge in pieno petto come la lama affilata di un coltello "Ha già un bel cuoio capelluto il signorino" prosegue l'ex medico militare abbozzando una piccola risata; annuisco in silenzio, passando le dita attraverso le piccole ondine scure formate dai capelli: non riesco a trattenere un singhiozzo dritto dalla gola nell'osservare il mio piccolo tesoro, un venticello da ponente in grado riportare in me quel po' di serenità che ho sempre desiderato.

Il vento dell'ovest.

"Zefiro"

"Zefiro?" mi fa eco Watson; annuisco di nuovo, stavolta a voce dopo averne ritrovato il controllo, confermando il nome che voglio dare al mio bambino, alzando poi il viso, inarcando un sopracciglio in un attimo di scetticismo.

"Non ti piace?"

"Ah, certo che mi piace. È molto particolare. Zefiro... non l'ho sentito spesso in giro un nome così. È perfetto, Amabel, davvero"

Sorrido alle parole confortanti del mio caro amico mentre mi appoggia una mano sulla spalla, riporto vagamente lo sguardo su Zefiro, ancora perfettamente ad occhi spalancati e senza l'intenzione di chiuderli per dormire.

"Grazie John" commento sinceramente, ad un certo punto, risollevando il volto e sorridendo in direzione del diretto interessato "Grazie per essermi stato vicino, dico sul serio"

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