The Reichenbach fall: Parte uno (AMABEL)

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Ci droghiamo di una persona, ne diventiamo dipendenti, e poi quando va via rimaniamo in astinenza, perché non troveremo mai un'altra droga che faccia lo stesso effetto.

Ho creduto davvero di non uscire viva dalla bruttissima situazione in cui mi ero infilata con le mie stesse mani e mai avrei pensato che la soluzione mi sarebbe stata data proprio dall'ultima persona sulla faccia della terra a cui avrei pensato: Sherlock.

Persino ora, a distanza di alcuni mesi, fatico ancora a credere che abbia sul serio chiesto il mio perdono e mi abbia aiutata ad insabbiare l'omicidio che ho commesso, nei confronti della Adler poi, la Donna che per lui sia stata, e (ne ho la convinzione) forse rimarrà per sempre, importante: non nego che questo particolare faccia spesso rispuntare in me quella punta di rancore, ma il fatto che lui, in quel momento in Afghanistan, si sia concentrato su di me invece che sulla Dominatrice non solo mi ha sorpresa, ma ha acceso in me una luce capace di abbagliare con la sua intensità gli scheletri che ho nell'armadio.

È come se mi avesse teso una mano e tirata fuori dal buio e profondo baratro in cui ero intrappolata.

Riflettendoci bene, le cose dopotutto non sono destinate per forza a rimanere tali per sempre.

E con quello che Sherlock, nonostante gli errori commessi, ha poi fatto per aiutarmi, ha concretizzato meglio che è possibile salvare anche un uomo freddo e distaccato come lui; penso che anche l'esperienza con la Adler sia stata in qualche modo la punta dell'iceberg che nasconde in realtà un uomo in grado di essere cambiato con il tempo: considerando una persona come lui che fatica a relazionarsi, un gesto che normalmente può essere considerato insignificante, aspettarselo da un soggetto apparentemente irreprensibile come Sherlock non è un passo indifferente.

Per come si è comportato nei miei confronti, agli occhi degli altri risulterei una pazza per averlo perdonato: un terribile errore che regala solo una felicità momentanea in attesa di un'altra delusione dietro l'angolo, forse ancora peggiore, e qualcosa mi dice che sebbene la strada abbia aperto vie secondarie per un miglioramento, la principale resti infondo effettivamente la stessa (nessun colore da scuro può diventare completamente chiaro, una sfumatura originaria rimarrà sempre, come un albero di ciliegie non può far nascere magicamente una pesca); ma neppure condannarlo sarebbe giusto, contribuirebbe solo a peggiorare le cose.

La dipendenza da sostanze stupefacenti non è un ostacolo di cui puoi liberarti così come ti addormenti la sera e ti svegli la mattina successiva, ci vuole pazienza e in particolar modo forza di volontà: da un po' di tempo, seguendo i consigli di John e contribuente anche ciò che il detective ha fatto per me, mi sono decisa a riprendere in mano la mia vita uscendo da quello sporco gioco di tiro alla fune che altrimenti si sarebbe spezzata di lì a poco, recandomi regolarmente in un centro di disintossicazione e devo ammettere che la situazione è abbastanza migliorata, ma c'è ancora molta strada che mi aspetta, lunga e faticosa.

Prendo due tazze di porcellana dalla credenza della cucina e li poso nel vassoio insieme a due cucchiaini e due fazzolettini, dopodiché, con le presine alle mani tiro fuori dal forno la teglia calda di biscotti allo zenzero e li sistemo, senza farli cadere, dentro un'ampolla di vetro, dividendone una buona manciata per il piattino da portare di sopra, mentre zia Martha si occupa del tè.

"Sono così contenta di vedere che stai bene, tesoro" alzo lo sguardo dai biscotti a lei, mugugnando, quando mi sposto dal bancone al tavolo dove è intenta a destreggiarsi con la bevanda inglese "Dopo tutto quello che hai passato..." sospira, assumendo un tono più basso ed un'espressione più abbattuta, sicuramente non tipica sua, visto che mia zia è il tipo di persona capace di tirare fuori il divertimento, seppur talvolta involontariamente, in qualsiasi situazione, ma sul suo attuale sguardo non c'è traccia della solita e spensierata allegria; lascio i biscotti e le afferro un braccio, stringendolo con dolcezza nella mano, rivolgendole un sorriso sincero.

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