The game's afoot: Parte due

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Se avevo già le testa in subbuglio a causa della droga e le ossa ammaccate per colpa delle irritanti cadute che quelli che bar mi hanno fatto fare in modo da riuscire ad infilarmi facilmente nel bagagliaio della vettura, neanche fossi un pacco postale con consegna urgente, la guida spericolata della signora Hudson per poco non finisce per farmi riversare tutto addosso: una sorpresa non proprio gradevole per la sua lussuosa Aston Martin

Benché, a dir la verità, ho più schifezza che mi circola nelle vene che nello stomaco.

Odo un forte trambusto provenire da fuori, tra cui sirene delle polizia ed elicotteri: probabilmente la signora Hudson avrà scambiato la strada per una pista di macchine da corsa, ma ora ciò che mi interessa di più è uscire da questo maledetto cofano posteriore che inizia a starmi fin troppo stretto per le mie misure, oltretutto, l'aria sta iniziando a mancarmi.

Quando finalmente il portellone si apre, socchiudo le labbra e sbatto le palpebre qualche secondo per riabituarmi alla luce esterna, riuscendo poi a scorgere la figura contrita della mia padrona di casa e quella di John, il quale non è proprio contento di vedermi; preciserei che non lo è affatto, ma non è l'unico, evito infatti di incrociare il suo sguardo.

"Avanti, John" prosegue l'anziana e testarda donna "Gli dia un'occhiata! Me l'ha promesso. Non vede come si è ridotto?"

Dopo due falliti tentativi, con la terza spinta riesco a sollevarmi con la schiena e rimettermi, barcollante, in piedi, obbligo la signora Hudson a togliermi le manette, dopodiché mi faccio bruscamente spazio tra lei e Watson entrando nella casa a cui corrisponde l'indirizzo che avevo, borbottando e massaggiandomi i polsi arrossati.

Con la quantità di sostanze che ho in corpo non so ancora come faccio effettivamente a mantenermi sulle mie gambe.

"Come è riuscita a portarlo qui?" le domanda John, marcando un tono piuttosto irritato che riesce a sua volta ad infastidirmi ulteriormente.

"Mi hanno aiutato i ragazzi del bar sotto casa"

"Mi hanno fatto cadere per due volte! È stata crudele, cara signora! Volevo solo una tazza di tè!" ringhio, sfastidiato, afferrando al volo un vaso da sopra il mobile a sinistra, nell'ingresso, tolgo il mazzo di fiori e bevo un sorso d'acqua al suo interno: avrei gradito se fosse stata fresca ed invece piego subito le labbra in una smorfia disgustata a causa dell'acqua tiepida, piena di petali e residui di foglie che fatico a mandare giù; noto solo ora la presenza di una donna in un'altra stanza, impegnata in una conversazione telefonica, indicandola con un dito "Questa chi diavolo è? Non amo gli sconosciuti e per di più quest'acqua fa schifo! Cos'è questo posto? Uno studio o per caso una centrale idrica..."

"Lei è la mia nuova terapista" replica John piccato, difronte al mio sarcasmo pungente; ignoro l'interrogatorio del mio ex coinquilino su come io abbia fatto a trovarlo, squadro la sconosciuta che nel frattempo ha scostato il telefono dall'orecchio per passarlo a Watson e che ricambia la mia occhiata con espressione stranita: dal suo aspetto: folla lunga tre chilometri, occhiali e capelli grigi e corti fini alle spalle, ricorda più la strega di Hansel e Gretel piuttosto che una terapeuta.

"Perfetto! Proprio quello di cui avevo bisogno. Accetta prenotazioni multiple?" avanzo verso la prima poltrona che vedo e mi ci sbivacco sopra, dopo essermi assicurato di azzeccare il punto esatto in cui posare il fondoschiena in modo da non farlo finire sul pavimento, sollevando la mano con cui tengo il vaso di porcellana "Allora, è possibile avere un bicchiere d'acqua pulita qui dentro, o serve una ricetta medica prescritta?" 

Decido di approfittarne per rilassarmi chiudendo gli occhi, distendendo il collo ed accavallando le gambe per non rischiare un altro attacco isterico e soprattutto per concentrarmi sulle prossime mosse da fare: nonostante gli attriti tra me e John, non mi trovo qui a caso, anzi, in è esattamente qui che due settimane fa avevo calcolato di dovermi trovare (quando la situazione è di precaria importanza si è costretti a mettere da parte le divergenze) e la pretesa di spiegazioni da parte mia non tarda ad arrivare quando il mio ex coinquilino si piazza sul pavimento del salone, appoggiando le mani sui fianchi, dando inizio alla raffica di domande per l'interrogatorio.

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