The motive: Parte due (AMABEL)

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L'intervento di Sherlock a favore nostro è l'unica cosa che mi fa sorridere in tutta questa faccenda: vederlo comparire da quella porta è stato come il sole dopo una tempesta, è arrivato al momento giusto, altrimenti non so cosa ne sarebbe stato di me e mia zia, che infondo non c'entra nulla.

L'unica colpevole sono io, ho preso io il cellulare ad Irene, ma proprio questo mi solleva un quesito alquanto curioso nella mente: quegli uomini, d'altronde gli stessi che avevano attaccato Sherlock e la stessa donna in quella casa, come facevano a sapere dove si trovasse il cellulare adesso?

L'unica teoria plausibile che mi viene da elaborare è che Irene possa aver architettato tutto (dovevo aspettarmi una mossa da parte sua per riprendersi il telefono, visto quanto tiene ad averlo con sé): magari uno di loro era suo complice e lei gli ha ordinato di trovarmi... accidenti, ma questo pone più domande che risposte: come faceva a sapere che io abitavo proprio nello stesso palazzo di Sherlock? 

Io ed Irene ci siamo viste entrambe per la prima volta, e solo per pochi minuti, in quella casa, lei non sapeva nulla di me; allora com'è stato possibile? Come ha fatto a sapere come battere il detective? Com'è possibile che sia così preparata nel dettaglio?

La testa mi sta letteralmente per scoppiare, ma la mia mente stranamente non riesce a smettere di pensare, è come se andasse per conto proprio esplorando ragionamenti su cui mai sarei andata a soffermarmi; magari è l'effetto degli stupefacenti, in ogni caso questo è il problema che meno mi importa.

Holmes non mi ha rivolto domande per farmi confessare di aver preso il telefono, me lo ha semplicemente detto in faccia ed a quel punto ho dovuto cedere, benché l'avrei fatto io stessa se non avessero fatto irruzione in casa nostra.

Sherlock ha salvato me e mia zia, e voglio ringraziarlo.

Per la prima volta non sento il bisogno di rifugiarmi negli stupefacenti, né rannicchiarmi su quei fogli a scarabocchiare, allo stesso tempo però devo tastare il terreno su cui mi sto incamminando alla cieca; è Sherlock: nessuno sa con esattezza cosa gli passi per la testa e temo che mai nessuno lo saprà.

È sempre pronto a ferire, ma una situazione come quella di oggi non si era mai verificata, almeno che io ricordi e me ne sento lusingata in qualche modo.

Finisco di sistemare i biscotti allo zenzero (i suoi preferiti) nel piattino di porcellana che appoggio accanto alle tazze di tè fumanti e, facendo attenzione a non versare niente, sollevo il vassoio per i manici; salgo le scale fino ad arrivare alla porta e dopo un attimo di esitazione avviso della mia presenza.

"Sherlock" mormoro con un lieve sorriso, cercando la sua figura che trovo seduta sulla consueta poltrona nera a rigirare un coltello tra le mani, da cui non stacca lo sguardo, quasi spaventosamente, concentrato: ho un momentaneo moto di brividi lungo la schiena, ma cerco di ignorarlo attirando la sua attenzione chiamandolo nuovamente per nome; continuo ad ottenere nient'altro che silenzio in risposta, così poso il vassoio sul tavolino della disordinata scrivania e unisco le mani, avanzando di un passo verso di lui "È tutto apposto? Stai bene? È... è successo qualcosa?"

Pur non avendo il suo sguardo dritto verso il mio, riesco a notare bene la luce seria che traspare dal suo viso: nessuna increspatura di pelle, niente, liscio come il marmo; il mio stomaco compie una capriola quando il detective si decide a puntare lentamente i suoi chiarissimi occhi azzurri contro i miei, dandomi un assaggio completo dell'espressione più glaciale che gli abbia mai visto fare.

Il suo petto si alza ed abbassa a ritmo stranamente calmo, ma quando è così non è mai un buon segno.

Ma adesso non capisco perché.

The Game Is On "Sherlock" Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora