8. Sei or del nostro nome ampio ristoro

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Bussarono ancora alla porta. Vittoria fece un lungo sospiro, si alzò e si avvicinò alla finestra, scostò le impannate e appoggiò stancamente la testa contro lo stipite. Fabrizio Colonna era arrivato, di nuovo: Vittoria non aveva mai visto suo padre tanto spesso in tutta la sua vita. Non c'era giorno in cui non venisse, almeno per una mezz'ora, a parlare con Ferdinando: si mettevano a sedere in sala, davanti al camino, e discorrevano di guerra e di strategia. Fabrizio impartiva al suo giovane genero consigli per comandare i suoi uomini, lo metteva al corrente di ogni evenienza e di ogni cosa a cui avrebbe dovuto pensare e spesso finiva con il narrargli qualche episodio strano o significativo, che lo aveva particolarmente spaventato o emozionato, in una delle sue tante spedizioni come generale.

Ferdinando ascoltava tutto preso, Vittoria non sapeva se sentirsi felice o meno nel vedere i suoi occhi scintillare a quel modo mentre parlava di battaglie e armi. Non sapeva se essere egoista o no: cercava di esserlo il meno possibile, di mettersi nei panni di suo marito che non aspettava altro che un modo per dimostrare tutta la sua forza e il suo valore, in quelli del popolo che, una volta tornato vittorioso, sarebbe stato fiero del proprio governatore, o se rimanere in quelli di povera e innamorata moglie, costretta a nient'altro se non alla sofferenza e alla solitudine. Ci aveva riflettuto tanto, molto tempo aveva passato a pensare e rimuginare ma ancora non sapeva prendere una decisione.

Si toccò la pancia, istintivamente: quanto avrebbe voluto sentire un piccolo, minuscolo, impercettibile movimento. Certe volte credeva di sentirlo, la sua mente la illudeva, poi si ricordava che non era possibile e ricadeva nella tristezza. Quanto doveva essere bello avere la consapevolezza che qualcuno stesse crescendo dentro di te, che tu stessi per donare la vita a una persona, la stessi per mettere al mondo per amarla con tutto il tuo cuore! Doveva essere meraviglioso essere mamma, doveva essere bellissimo poter vedere il proprio figlio crescere, anno per anno, giorno per giorno, vederlo cambiare, farsi più grande, più robusto, più simile ai genitori. Doveva essere meraviglioso vederlo giocare, fantasticare, sorridere sapendo che quella piccola creaturina è una parte di te, ti appartiene e tu appartieni a lei.

Ne aveva parlato tante volte con Costanza perché sapeva che lei era in grado di capirla più di chiunque altro: anche lei aveva desiderato un figlio, ma la precoce e inaspettata morte del marito non glielo avevano permesso, Dio non aveva deciso questo per lei.

«Mia cara ricordati la cosa più importante» le aveva detto con i suoi soliti modi amorevoli e materni, da un certo punto di vista le mancava più di quanto le mancasse tutto il resto di Ischia: Costanza era la persona che meglio riusciva a farla sentire bene, al sicuro, a farle svanire, almeno temporaneamente, ogni preoccupazione e paura. «Un genitore è colui che ti cresce, non colui che ti fa nascere.»

Vittoria aveva riflettuto un attimo su quelle parole: pensandoci le sembrava di essere lei stessa la dimostrazione che era vero, Costanza per lei era come una madre, forse ancora più importante di Agnese di Montefeltro, eppure non era sua figlia naturale e neanche lontana parente. Erano due complete sconosciute che, per via del destino, si erano incontrate e avevano allacciato un rapporto speciale.

«State dicendo che potrò sentirmi madre, in qualche modo?» aveva domandato non molto convinta.

«Se tu lo vorrai cara, sarà possibile» le aveva risposto Costanza sorridendo, «un erede è necessario, no? Perché aspettare di nominarlo una volta adulto quando è possibile farlo fin da subito? E tu potresti crescerlo, dargli una propria educazione.»

La ragazza aveva aspettato un attimo a rispondere, non capiva comunque a chi potesse riferirsi. Lei, educare un figlio? Gli avrebbe insegnato prima di tutto a scrivere e leggere perfettamente la lingua latina e la metrica e avrebbe passato con lui pomeriggi interi a studiare. Lui avrebbe imparato a recitare poesie, a comprenderle, ad apprezzarle e, infine, a scriverle, proprio come faceva lei.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora