52. Coste' ch'i' adoro, anima e cor della mie fragil vita

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L'umile e semplice monastero di Santa Caterina era lì, dove l'aveva lasciato molti anni addietro. Vittoria stette qualche minuto a contemplare la sua facciata, così spoglia e insignificante ma per lei piena di tristi ricordi. Era impossibile dimenticare tutto il dolore che aveva provato dentro alle sue mura: era lì, infatti, che, ormai tanti anni addietro, aveva ricevuto la notizia della morte di Ferdinando ed era lì che una parte della sua vita l'aveva abbandonata per sempre.

La malinconia che quel luogo le aveva riportato alla memoria fu bruscamente interrotta dall'apparizione, sulla soglia della spoglia porta d'ingresso, del cardinal Pole. Vestito con un umile abito nero, senza la consueta veste purpurea dei cardinali, Reginald Pole scendeva lentamente i pochi scalini che lo separavano dalla piazzetta in cui la carrozza di Vittoria si era fermata.

«Benvenuta a Viterbo, signora marchesa!» esclamò aprendo cordialmente le braccia in segno di benvenuto.

Sul volto di Vittoria si aprì un sorriso di sollievo, le faceva un grandissimo piacere vedere lì il cardinale, non si aspettava di trovarlo nel convento che lei aveva scelto come sua residenza: infatti il Pole, quale legato del Patrimonio di San Pietro, aveva per sé un'altra residenza, molto più bella e comoda.

«Non mi aspettavo di trovarvi qui, monsignore» rispose Vittoria felicemente sorpresa.

«Sapevo che sareste arrivata questo pomeriggio ed ho pensato di venire per potervi accogliere» le tese la mano per aiutarla, gentilmente, a salire gli scalini per raggiungere l'entrata, «è molto meglio quando, in un luogo sconosciuto, si vede un volto amico.»

Presso l'ingresso del monastero la badessa, che fino a quel momento era rimasta silenziosa, aveva porto i suoi omaggi alla marchesa e così tutte le altre sorelle che, nel mentre, si erano affollate accanto a lei, la salutavano con riverenze e frasi di benvenuto.

«Lasciate che vi porti alla vostra stanza, signora marchesa» la badessa si fece avanti con un tono serio ma cordiale, ma Reginald Pole la fermò non appena ebbe pronunciato quelle parole.

«Se la signora marchesa non è troppo stanca, desidererei, prima, mostrarle una cosa» disse attirando inevitabilmente la curiosità di Vittoria che annuì veementemente con la testa, «venite, signora.»

Le prese la mano e, camminando piano e cercando di controllare la fretta, sorpassarono il piccolo e spoglio chiostro e si affiancarono ad una porta in legno, chiusa e con una scritta piuttosto sciupata sullo stipite. Il Pole tirò fuori una chiave, la aprì con un leggero scricchiolio e aiutò Vittoria a salire l'alto scalino che la precedeva.

«Entrate pure» le disse con un mezzo sorriso sulle labbra.

Vittoria fece come aveva detto e rimase quasi senza fiato, si fermò dopo aver fatto appena qualche passo. La stanza, seppur piccola, era un vero e proprio gioiello: al centro un tavolo circolare in legno lucido con poltroncine di un tessuto verde scuro era quasi interamente circondato da meravigliosi scaffali ricolmi di libri, manuali e manoscritti di ogni genere. Vittoria fu assalita da un senso di nostalgia, le ricordava, seppur con dimensioni un po' minori, la bellissima biblioteca del castello di Ischia in cui aveva passato praticamente tutta la sua infanzia, il luogo in cui aveva cominciato a conoscere Ferdinando, il posto in cui si rifugiava quando aveva bisogno di stare sola o di liberare la sua fantasia. Senza accorgersene si ritrovò le lacrime agli occhi, troppa bellezza, troppi ricordi.

«Non pensavo che un convento così» si fermò un attimo, non trovava le parole per completare la frase tanto era presa da quella meraviglia, «un convento così piccolo e semplice potesse avere al suo interno un tale splendore.»

Fece qualche passo più in là, soffermando lo sguardo su vecchi manuali e indici, sfiorandone con un delicato tocco delle dita le rigide copertine.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora