24. Che da quest'ermo colle io vi sospiri

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Era primo pomeriggio, il sole batteva alto nel cielo ischitano, i suoi raggi riflettevano sulla limpida e piatta superficie del mare, l'aria era bollente. Vittoria uscì dalle sue stanze per andare in biblioteca, faceva troppo caldo per poter stare nel suo studiolo che, d'estate e in tarda primavera, era inondato dalla luce del sole e lo rendevano inabitabile. Sarebbe andata a studiare in giardino, seduta sotto la fresca ombra di un albero, vicino a qualche fontana zampillante. Quando entrò in biblioteca rimase stupita di trovarci Galeazzo di Tarsia. Non fu irritata quando lo vide e nemmeno annoiata, ma era imbarazzante essere di nuovo soli dopo ciò che era successo l'ultima volta. La mattina seguente la festa il Principe di Belmonte non era sceso presto come al solito, ma solamente poco prima di pranzo, lui e Vittoria non avevano avuto modo di scambiarsi neanche un saluto e adesso lei lo trovava lì, vicino alla finestra mentre osservava il mare con un libro aperto davanti a sé. Non stava chiaramente leggendo, nel suo sguardo la marchesa ci riconobbe una nostalgia e una tristezza propri di chi si accingeva a lasciare un luogo tanto amato.

Galeazzo, appena la udì entrare, si voltò e, quando la riconobbe anche sul suo volto si dipinse un'espressione carica di imbarazzo.

«Signora marchesa» la salutò alzandosi in piedi; adesso che la guardava Vittoria confermò che il suo sguardo era molto più malinconico del solito, le dispiaceva perché sapeva che era solo a causa sua.

«Messer Galeazzo» rispose lei, non sapeva che cosa dire, era stata completamente colta impreparata da questo inaspettato incontro, «non pensavo di trovare qualcuno a quest'ora, non volevo disturbarvi.»

Galeazzo abbozzò un malinconico sorriso.

«Nemmeno io pensavo che qualcun altro, oltre a me ovviamente, sarebbe venuto» rispose.

«Sono qui per prendere un libro» spiegò lei, era ovvio che la loro conversazione stava girando intorno a qualcosa di molto più importante. Non dovevano necessariamente parlare di quello che era successo la sera precedente ma nemmeno far finta che ci fosse stato niente, «non avevo intenzione di restare.»

Galeazzo sospirò, la osservò mentre si avvicinava ad uno degli scaffali e prendeva un vecchio volume rilegato in modo sopraffino. Vittoria gli sorrise, piuttosto imbarazzata, ma appena lei indirizzò i suoi passi verso l'uscita lui la fermò.

«Me ne vado, signora marchesa» annunciò dopo un lungo sospiro.

Vittoria si fermò improvvisamente lì, in mezzo alla stanza; rimase qualche secondo immobile a guardarlo, con il libro stretto tra le braccia.

«Come dite?» mormorò appena ebbe realizzato che cosa aveva detto. Poteva avvertire tutto il dolore che accompagnavano le parole di lui, se ne andava. Il perché lo sapeva, non aveva bisogno di chiederlo: se ne andava perché lo aveva rifiutato, perché non poteva sopportare ancora la sua presenza, perché quell'amore non gli dava tregua e forse la lontananza, con il tempo, avrebbe affievolito la fiamma del suo ardore.

«Lascio Ischia» ripeté lui, con altre parole, «domani mattina.»

L'espressione di Vittoria mostrava tutto il suo dispiacere, non sapeva che cosa dire. Da una parte se lo aspettava, come poteva restare Galeazzo se le aveva confidato che più che la vedeva più si consumava del suo amore?

«Tornerete?» la domanda era stupida, la risposta assolutamente ovvia.

«Non lo so» Galeazzo scosse il capo: no, non sarebbe tornato. Mai più.

Vittoria rimase in silenzio, non trovava le parole per esprimere quanto le dispiacesse. Si sentiva in colpa e chi poteva biasimarla? Si odiava per aver ridotto così in disperazione un uomo tanto buono ma d'altro canto che cosa poteva fare? Anche lei non aveva avuto scelta.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora