40. Né fie poi parte in me che non ti goda (parte 2)

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Fu Vittoria a liberarli, scrisse immediatamente al Papa, Clemente VII, che dopo il sacco non era ancora tornato a Roma e si era rifugiato ad Orvieto. Il riscatto ebbe successo, le donne del castello di Ischia poterono riabbracciare Alfonso d'Avalos, tornato come un eroe ma ancora infastidito per la perdita della sua meravigliosa armatura.

Vittoria tornò da Paolo Giovio, con il ritorno del marchese del Vasto ad Ischia il letterato aveva perso ogni popolarità: nel castello, adesso, non si festeggiava altro che per Alfonso. Lo trovò a scrivere, era così impegnato che, quando lei bussò alla sua porta, non sembrò nemmeno accorgersene. Al secondo colpo si riscosse, si alzò e andò ad aprirle.

«Signor Giovio» esclamò Vittoria appena lo vide comparire, il sorriso sulle sue labbra, però, svanì improvvisamente quando vide che il letterato aveva spostato immediatamente lo sguardo dal suo viso e lo aveva posato sulla praticamente inesistente scollatura del suo vestito, «ero venuta per ringraziarvi ancora per il vostro gesto durante la battaglia.»

Il Giovio fu costretto a tornare a guardarla negli occhi e le rivolse un affascinante sorriso.

«Per voi questo e altro, signora marchesa» le rispose, «lo sapete, ormai.»

Vittoria annuì ma tutto l'entusiasmo con cui era arrivata lì era svanito, anzi, cominciava a venir sostituito da un desiderio di allontanarsi da quell'uomo: non era la prima volta che spingeva lo sguardo un po' troppo oltre e questo la faceva preoccupare.

«Entrate pure» le disse, facendo qualche passo indietro per lasciarle lo spazio per entrare, Vittoria avrebbe voluto trovare una scusa per andare via ma era stata lei a bussare alla sua porta e ormai non poteva più tirarsi indietro.

Entrò e il letterato chiuse la porta alle sue spalle, si guardò intorno e vide che la stanza che Costanza gli aveva affidato al suo arrivo ad Ischia era diventata praticamente uguale alla sua: lo scrittoio era completamente ricoperto di libri, carte e schizzi e, su tutti gli altri mobili della camera, c'era posato un qualche manuale. Si era portato tutti quei libri da Roma? Vittoria era certa che non appartenessero alla biblioteca, ormai conosceva ogni volume contenuto in quegli scaffali.

«Sedetevi pure, signora marchesa» indicò con lo sguardo una delle due poltroncine poste proprio davanti alla scrivania, anche lui vi andò e prese posto in quella più a destra, «non dovrei essere io ad invitare voi ma il contrario: sono pur sempre ospite nella vostra dimora» sorrise e poi, toccando un po' le carte disordinate e cercando di riordinarle in modo distratto, proseguì, «sto lavorando ad una nuova opera, sapete?»

Vittoria scosse il capo.

«E di cosa tratta?» domandò curiosa.

«Di voi» la risposta la fece rimanere spiazzata, arrossì temendo di non aver capito bene.

«Di me?»

Giovio fece cenno di sì con il capo.

«Non solo di voi a dire la verità» rispose e Vittoria si sentì subito molto più sollevata, «ma di tutta la mia permanenza qui ad Ischia, nella quale voi avete, indubbiamente, avuto una grandissima importanza. Per questo, come conclusione dell'opera, ci sarà un encomio e una lode per voi, per la vostra bellezza e per la vostra intelligenza.»

«Vi ringrazio moltissimo» rispose Vittoria un po' imbarazzata, sarebbe stata una cosa dolcissima da parte di un qualsiasi altro uomo di lettere, ma da Paolo Giovio non sapeva che cosa aspettarsi, «ma non sentitevi in dovere di ricambiare l'ospitalità che vi è stata offerta, avete già realizzato la biografia di mio marito e non posso chiedere niente di più.»

«Prendetela come un dono, allora» rispose lui avvicinandosi impercettibilmente con la sedia, Vittoria se ne accorse e si irrigidì immediatamente, «uno dei tanti doni che vorrei farvi in questa mia permanenza qui.»

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora