Roma, 1564
Michelangelo osservava le fiamme ardere, il fuoco, con i suoi movimenti sinuosi, lo ipnotizzava. Era lì davanti al suo camino, non c'era nessuno in casa, stava immerso nel silenzio appena rotto dallo scoppiettio della fiamma. Sai quanto sarebbe stata contenta, pensò, quando avrebbe risucchiato dentro di sé tutto quello che aveva da darle.
Si riscosse, fece qualche passo verso la cassapanca, unico esemplare di mobilia che ancora custodisse qualcosa di importante, e la aprì. Quando i suoi occhi si posarono sulle carte si allontanò nella speranza di lenire il pianto. Non ci riuscì, fu costretto a tornare lì e guardarli, dall'alto in basso, con le lacrime che gli scorrevano sulle guance ossute e le gambe che per poco minacciavano di non reggerlo in piedi. Si inginocchiò gemendo, la vecchiaia non gli permetteva più certi movimenti. Appena sfiorò con il pollice quella carta, a lui così tanto cara, le lacrime cominciarono a scendergli più copiosamente sul volto solcato da gli anni. Ne aveva ottantanove adesso e lei se ne era andata via da diciassette. Non pensava di averla seppellita, mai l'avrebbe dimenticata, mai avrebbe dimenticato ogni singolo istante che avevano passato insieme. Semplicemente era rimasta nel suo cuore ma la sua vita era andata avanti. Non si sarebbe potuto fermare e mai lo avrebbe fatto: la scultura non gli permetteva e mai gli avrebbe permesso di morire.
Si fece coraggio e con un sospiro tirò fuori quelle carte. A riguardarle la mente si affannava, troppi ricordi, troppo dolore! Ne prese una per una e le osservò, non aveva tempo, chissà quando sarebbero venuti e, se l'avessero trovato con quelle in casa...
Le prese con un movimento duro e le tirò fuori velocemente dalla cassapanca. Non aveva paura di morire, non gli dispiaceva neanche, solo non voleva morire da peccatore, da eretico. L'Inquisizione non dava più pace, li aveva seguiti, uno ad uno, gli Spirituali, e aveva frantumato, pezzo per pezzo, l'Ecclesia Viterbensis. Reginald Pole era dovuto fuggire di nuovo in Inghilterra e tutti si aspettavano, prima o poi, di vedere sul rogo Giulia Gonzaga e Pietro Carnesecchi. La Gonzaga, forse, non l'avrebbero toccata, ma il Carnesecchi sì.
Quando ci pensava Michelangelo si sentiva ribollire di rabbia: non solo i vivi cercava l'Inquisizione ma aveva da torturare anche i morti.
Vittoria Colonna era morta da tempo, era stata seppellita nella chiesa di Sant'Anna de' Funari, come lei aveva richiesto, ma poi era stata subito spostata. L'avevano portata a Napoli, nella chiesa di San Domenico Maggiore e adesso, da diciassette anni, riposava al fianco di suo marito. Le sorelle del convento avevano avuto paura dell'Inquisizione, Michelangelo non credeva che potessero spingersi a disseppellire un cadavere ma dovette ricredersi. In ogni caso, dietro all'iscrizione in ricordo della marchesa nella chiesa di Sant'Anna, non avrebbero trovato niente.
Volevano tutto di lei e chi avesse posseduto qualcosa di mano della marchesa di Pescara sarebbe finito al Tribunale del Sant'Uffizio al posto suo. Michelangelo non voleva morire da eretico, era certo che Vittoria avrebbe compreso.
Rilesse quelle poesie, quelle lettere, scritte di sua mano: alcune erano belle ed eleganti, altri tremule, segno che la malattia aveva preso a fare il suo corso. Pianse perché era tutto ciò che gli rimaneva di lei.
Osservò quelle parole, quelle frasi che testimoniavano tutto il suo affetto, essere corrose dal fuoco. La fiamma si ingrandiva, sazia, e delle lettere di puro amore non rimase che cenere. Cenere e lacrime che Michelangelo si curò di spandere nell'aria. Il vento si portò via tutto ciò che rimaneva di loro, dell'amore che aveva unito in un modo quasi soprannaturale l'artista e la marchesa, il genio e la poetessa.
Si accorse troppo tardi che un foglio era sfuggito, uno solo. Lo lesse lasciando che le lacrime bagnassero l'inchiostro, l'aveva scritto lui.
Un uomo in una donna, anzi uno dio
per la sua bocca parla,
ond'io per ascoltarla
son fatto tal, che ma' più sarò mio.
I' credo ben, po' ch'io
a me da lei fu' tolto,
fuor di me stesso aver di me pietate;
sì sopra 'l van desio
mi sprona il suo bel volto,
ch'i' veggio morte in ogni altra beltate.
O donna che passate
per acqua e foco l'alme a' lieti giorni,
deh, fate c'a me stesso più non torni.Se lo strinse al petto e continuò a piangere. Presto, si disse, l'avrebbe rivista.
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Uno dio per la sua bocca parla
Historical FictionVittoria è figlia di un Colonna, appartiene ad una delle famiglie più influenti di Roma ma la vita nello sfarzo non la preserva da delusioni, amarezze e sofferenza. È una fanciulla innamorata, in perenne adorazione del bellissimo marchese di Pescara...