9. Per nome mio, ma tuo per opre figlio

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Cominciava a fare freddo, la notte era ormai inoltrata, il sole aveva lasciato da molte ore il suo posto alla luna.

Vittoria si strinse di più alle coperte, tremante, il suo corpo era completamente percorso da brividi, del fuoco del camino non rimaneva che qualche rossa scintilla in un mucchio di cenere. Si sentiva così sola, così triste che cominciò a piangere quasi senza rendersene conto. Non sapeva come fare ad addormentarsi, era sicura che non ci sarebbe riuscita. La sua mente era sovraccarica di pensieri che non riusciva a scacciare, a ignorare, l'ansia e il dolore per il giorno seguente la stavano divorando. Si domandò come avrebbe fatto a stare tanto tempo in questa condizione, giorni, mesi, anni: sarebbe stato possibile abituarsi? Non lo credeva, non avrebbe mai potuto abituarsi all'assenza di Ferdinando: per lei lui era tutto, non desiderava altro se non la sua, anche breve, compagnia.

Si voltò aprendo gli occhi e fissandoli sulla volta del soffitto. Tentò di asciugarsi gli occhi, ma inutilmente: le lacrime non sembravano avere intenzione di fermarsi. Avrebbe dovuto farsi vedere forte il giorno dopo, la mattina dopo. Era o no una Colonna? Non poteva mostrare così tanto la sua debolezza, non così apertamente. Tutti erano deboli e lo sapeva, dal più povero contadino al più potente imperatore: la debolezza stava nella natura dell'uomo e non c'era niente di cui vergognarsi, ma non poteva comunque esternare troppo i suoi sentimenti.

La guerra era necessaria e lo sapeva, o almeno inevitabile. Milano doveva essere liberata dal dominio francese, il regno di Napoli, come conquista spagnola, aveva l'obbligo di obbedire al Santo Padre. La guerra era inesorabile. I Colonna dovevano molto a Giulio II: grazie a lui Fabrizio aveva avuto modo di riacquistare i suoi possedimenti a Marino e nei dintorni di Roma, aveva ricevuto degli incarichi onorevoli da rivestire che non facevano altro che aumentare il prestigio e la potenza della famiglia e gli era stata finalmente revocata la scomunica. Vittoria gli era molto riconoscente da questo punto di vista, ma dall'altro per niente: con la sua voglia sfrenata di conquista le stava portando via gli anni più belli della giovinezza al fianco di suo marito. Perché doveva essere tutto così difficile per una donna? Perché lei non poteva fare altro che patire, aspettando, giorno dopo giorno, il ritorno dell'esercito imperiale? Avrebbe avuto da accudire e istruire il piccolo Alfonso, vero, e ne era molto felice perché lo reputava l'unica gioia che quel periodo di lontananza da Ferdinando poteva portarle, ma poi? Si sentiva come costretta a rimanere nei margini di una società che non le permetteva di fare niente, non le permetteva di replicare, di esprimersi, di parlare a voce alta delle sue preoccupazioni, dei suoi dolori, delle sue speranze e fantasie. Lo sentiva: adesso più che mai, aveva bisogno di buttare fuori tutto ciò che teneva custodito all'interno del suo cuore, tutto ciò che provava e aveva provato. Ma chi era disposto a stare ad ascoltare una donna, per quanto ricca e potente? Nessuno avrebbe mai potuto capirla, se non altre donne, e dove poteva trovare altre donne come lei? Costanza lo era, e poi? Un uomo non poteva comprendere il suo stato d'animo, lo stato d'animo di una moglie innamorata e fedele, costretta a vedere allontanarsi il marito che ama più di ogni altra cosa.

Vittoria sapeva che era stata fortunata a crescere in un ambiente come Ischia, immerso nella più profonda cultura e ad essere figlia di una Montefeltro che l'aveva istruita secondo i canoni e i principi della corte di Urbino. Ora doveva saper sfruttare questa sua fortuna, questo dono che Dio le aveva dato. Sarebbe andata a vivere Ischia, il prima possibile, anche il giorno seguente se ci fosse stato modo: solo lì avrebbe potuto esprimersi senza essere eccessivamente giudicata, solo lì, in quella corte così inclusiva, così intellettualmente aperta, poteva tentare di essere ascoltata, poteva dare libero sfogo ai suoi pensieri stavolta, però, senza che rimanessero privati.

Fece un leggero sorriso, poteva ritenersi abbastanza soddisfatta. Niente sarebbe valso a riuscire a placare le sofferenze del suo animo, niente le avrebbe fatto dimenticare che Ferdinando rischiava la vita ogni giorno, ad ogni ora, e che non si sarebbe mai curato di lei. Ne era cosciente ma doveva cercare, in qualche modo, di attenuare questa consapevolezza.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora