10. In questa pugna orrenda e dispietata (parte 1)

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La questione con la Francia si stava complicando sempre di più, la tensione con lo Stato Pontificio e l'Impero, di cui faceva parte il Regno di Napoli, era cresciuta fino ad arrivare ad un punto di non ritorno. L'esercito francese stava scendendo ancora di più in Italia: agli inizi dell'anno 1512 era penetrato in Val Padana, a febbraio dello stesso anno aveva raggiunto Bologna e distrutto l'esercito di Venezia presso Valeggio e una decina di giorni dopo aveva saccheggiato Brescia e i soldati avevano ucciso tutti coloro che incontravano.

Bergamo, vedendo la forza devastante dei francesi, si arrese senza ricorrere alle armi: tutti temevano l'esercito di re Luigi XII, tutti temevano l'esercito capitanato dal giovanissimo Gaston de Foix. Discendeva da una nobile famiglia francese e fin da subito aveva dimostrato un grandissimo talento nell'arte della guerra. Dopo la vittoriosa Battaglia di Agnadello era stato nominato dal re governatore di Milano, a solo ventuno anni, e, successivamente, comandante delle truppe per la spedizione in Italia. L'esercito della Lega Santa lo temeva altrettanto, sapeva a chi stavano andando incontro e sapeva anche di avere poche probabilità di vittoria: da quello che era stato detto l'esercito francese era nettamente superiore a quello del Papa e della Spagna.

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L'esercito era in completo silenzio, procedeva accompagnato solamente dallo sbattere di armi e armature e dalle grida di rimprovero di qualche generale, Ferdinando cavalcava al fianco di Fabrizio Colonna e degli altri comandanti, senza dire una parola, osservando acutamente i loro volti. Era la sua prima spedizione militare ed era il più giovane tra tutti quegli uomini che procedevano altezzosi in groppa ai loro eleganti e bardati cavalli, voleva studiare i loro volti per comprendere la loro personalità e il loro pensiero. Fabrizio Colonna gli rivolse un'occhiata sospettosa.

«Va tutto bene, Ferdinando?» gli domandò vedendolo turbato.

Il giovane comandante lo rassicurò e tra i generali ricadde il silenzio. Ferdinando tornò ad osservare i suoi compagni: oltre al padre di sua moglie, che ormai conosceva più che bene, c'era un altro Colonna, Marcantonio, cugino di Fabrizio e zio di Vittoria, che comandava una parte dell'esercito italiano del Papa e li stava aspettando a Ravenna. Poco più in là incontrò lo sguardo piuttosto insicuro di Giovanni de' Medici. Ferdinando si avvide che il cardinale, figlio di Lorenzo de' Medici, e consigliere papale di Giulio II, non sembrava molto esperto nell'arte della guerra e neanche molto portato nel combattimento. Aveva un viso troppo buono, pacato, paffuto per essere un guerriero e non gli sembrava avesse neanche il fisico adatto ad un combattente. Si trovò a temere che, dopo la prima battaglia, non lo avrebbe rivisto più. Diede una veloce occhiata agli altri generali dell'esercito papale tra cui vide Francesco Pico della Mirandola, Malatesta Baglioni, signore di Perugia, e Galeazzo Sforza, poi rivolse la sua attenzione verso i suo conterranei, i comandanti spagnoli. Per primo posò lo sguardo su Ramon de Cardona e fu costretto ad alzare gli occhi al cielo: era un suo superiore e doveva avere rispetto di lui e delle sue decisioni in qualità di viceré ma non lo considerava affatto pratico nelle questioni militari, gli pareva che stesse andando ad occhi chiusi, senza una precisa strategia ma solo con qualche strana idea che non gli pareva affatto buona. Non sapeva che cosa avesse intenzione di fare e Ferdinando era convinto che avrebbe finito per dare ordini sbagliati e combinare qualche guaio. Stava perdendo totalmente la speranza di vittoria, la prospettiva della sconfitta, osservando i capi dell'esercito, sembrava essere quella più verosimile. Lui, personalmente, avrebbe fatto del suo meglio con le sue truppe per far uscire dalla battaglia l'esercito papale e spagnolo vincitore. Aveva però paura di Gaston de Foix, il comandante francese aveva praticamente la sua età ma era molto bravo e coraggioso, più di qualunque che si fosse mai visto da anni e anni. Era un pericolo ma Ferdinando si decise che l'avrebbe affrontato, avrebbe affrontato tutto ciò che si fosse trovato davanti con forza e coraggio: voleva essere ricordato per la sua virtù e non per la viltà di cui, scommetteva, si sarebbero macchiati Giovanni de' Medici e il Cardona.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora