32. Fuggito è il vero onor, la gloria bella

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La notizia della vittoria di Pavia e soprattutto della prigionia di Francesco I si diffuse per tutta Italia in un baleno, ma non tutti erano in animo di festeggiare. Carlo di Lannoy si era dichiarato davanti all'imperatore il vero vincitore della guerra, portando con sé il re prigioniero fino a Barcellona, e Ferdinando d'Avalos non aveva potuto dire niente.

Carlo V, l'imperatore del Sacro Romano Impero, inizialmente sembrava essere stato riconoscente allo stesso modo con tutti e tre i condottieri, ma, man mano che il tempo passava, sembrava essersi dimenticato del marchese di Pescara. Paradossalmente, pensava Ferdinando, Carlo V elogiava più sua moglie che lui: Vittoria riceveva non poche lettere dall'imperatore che sembrava stimarla quasi di più dei suoi generali.

"Illustris consanguinea nostra charissima" le scrisse, "quando ci pervenne la nuova della grande e memorabile vittoria che il Sommo Iddio ha avuto la grazia di concederci contro i Francesi in Lombardia si aggiunse a molte altre cose a noi lietissime la memoria del vostro nome [...] e ciò ben a ragione, dacché voi derivate da una stirpe ed appartenete ad una famiglia, che a noi ed ai nostri antenati in tutti i tempi ha reso non comuni servigi".

Quando Vittoria gli riportò queste poche righe dell'epistola che l'imperatore gli aveva mandato, Ferdinando avvampò di rabbia: sembrava che la battaglia l'avesse vinta sua moglie, invece, che lui. Era stata lei, per caso, a comandare le truppe al fianco di quell'odioso del Lannoy e del Borbone? No, e allora che cosa c'entrava il nome dei Colonna?

A Vittoria non sembrava una cosa poi così sconvolgente, era certa che Carlo V avesse mandato simili lettere a tutte le mogli dei comandanti oltre che ai comandanti stessi: pensava che fosse più una cosa formale, almeno fino a quando queste lettere non divennero molto, forse troppo, frequenti. Aveva altre cose a cui pensare, tra cui spiccava per importanza la salute di Ferdinando: lui non ci voleva fare caso, non gli interessava, ma non stava bene fisicamente. Era spesso stanco, le ferite che aveva riportato nella battaglia di Pavia non erano profonde, per lui erano appena qualche graffio e, non essendosi preoccupato di curarle per bene, per quanto potessero sembrare innocue cominciavano a dolergli. Non ne faceva parola con nessuno, solo con sua moglie che insisteva, in ogni lettera che gli mandava, per sapere se fosse sano. In realtà Ferdinando non sapeva perché non le mentisse, Vittoria non avrebbe mai potuto vedere realmente le sue condizioni almeno finché lui non fosse tornato ad Ischia: non credeva possibile che sua moglie intraprendesse un viaggio così lungo, da Napoli a Milano, solo per controllare che ciò che le scriveva fosse vero.

Ma non era l'unico scontento: il Papa, Giulio de' Medici che era succeduto a Leone X con il nome di Clemente VII, alleato dei francesi, adesso che il dominio spagnolo stava diventando molto potente, come tutte le città del centro Italia, si sentiva minacciato da nord e da sud.

***

«Signor marchese» Girolamo Morone aprì le braccia in segno di accoglienza con uno strano sorriso sul volto paffuto, «siete venuto alla fine!»

Ferdinando squadrò l'uomo che aveva davanti da capo ai piedi: Girolamo Morone era un uomo molto influente, di grandissima cultura – sapeva di lettere e di diritto più di qualunque altro – e di cui non ci si doveva fidare. Con la sua grande corporatura gli fece cenno di entrare e Ferdinando si chiuse la porta alle spalle con un movimento lento.

«Portaci del vino» ordinò il Morone ad una delle cameriere della sua lussuosa villa, più che si guardava intorno più Ferdinando non comprendeva come mai avesse accettato di venire lì, «sedetevi pure, signor marchese, non voglio che ospiti illustri come voi rimangano in piedi tutto il tempo.»

Ferdinando si sedette proprio di fronte a lui, continuando a non dire una parola: non gli piaceva quell'uomo proprio come non gli piaceva il Lannoy e l'imperatore stesso, era lì per ascoltarlo non per dargli una risposta. La giovane domestica tornò portando una piccola bottiglia di vino e due bicchieri in vetro veneziano decorato, li appoggiò sul tavolino che separava i due uomini e lo versò porgendo ad ognuno la sua porzione. Il Morone lanciò un'occhiata un po' contrariata alla bottiglia.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora