28. Il caro pegno, o mia dogliosa sorte!

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Vittoria aveva preso una decisione, da sola; non aveva chiesto consiglio a nessuno, né alla duchessa, né a Costanza né a Isabel stessa. L'aveva presa subito, quella sera, quando aveva visto Ferdinando ballare con la Cardona: sapeva che non avrebbe potuto sopportare di vedere un'altra scena simile. Con una scusa aveva abbandonato la sala ed era corsa a piangere nella sua stanza, solo dopo una serva le aveva portato un messaggio da Isabel che si scusava e cercava di giustificarsi. Vittoria non era arrabbiata con lei, come avrebbe potuto? Aveva seguito la scena anche se apparentemente era sembrata concentrata in un'altra conversazione, non si era persa i suoi rifiuti e la stima nei suoi confronti saliva sempre di più. Le uniche scuse necessarie erano quelle di Ferdinando, ma Vittoria sapeva che non sarebbero mai arrivate.

Era arrivata al punto di avere la conferma che lei non era in grado di fare niente, nessuno era in grado di fare niente per migliorare questa situazione: la passione di Ferdinando era così grande che neanche il proprio onore era riuscito a frenarlo. Pur di soffrire il meno possibile Vittoria aveva deciso di ritirarsi completamente nelle sue stanze, dedicare tutto il suo tempo allo studio e limitarsi ad unirsi agli altri solo quando non poteva farne a meno: sostanzialmente per i pasti.

«Non chiudetevi in voi stessa, mia signora!» aveva esclamato Isabel con aria preoccupata quando Vittoria le aveva comunicato la sua decisione.

Forse aveva ragione, ci aveva riflettuto anche lei più volte, ma aveva comunque deliberato che era la cosa migliore da fare: sicuramente non sarebbe riuscita a non pensare a ciò che stava accadendo intorno a lei, non sarebbe non riuscita a non pensare a tutto ciò che suo marito avrebbe potuto fare, ma era in ogni caso molto meglio che vederlo con i propri occhi.

«Che cosa dovrei fare allora?» le rispose con un tono quasi provocatorio: questa era la sua decisione e così avrebbe fatto, non avrebbe voluto soffrire ancora, anche se non sapeva per quanto avrebbe potuto resistere a tutte le fantasie e paranoie che avrebbero invaso la sua mente, «non ho scelta, forse, vedendo che conseguenze il suo comportamento ha avuto su di me, il signor marchese avrà il buon cuore di smettere.»

Da una parte ci sperava, dall'altra sapeva che non sarebbe successo. Sapeva anche che, se Ferdinando avesse vinto, come aveva già fatto, ci sarebbe ricascata: lo amava così tanto che lei stessa non capiva come fosse possibile dopo tutto ciò che le aveva fatto ed era certa che, anche solo ad un suo tocco, sarebbe stata così accecata dall'amore per lui che non sarebbe mai riuscita a resistergli. Questa era la tattica di Ferdinando e Vittoria sapeva che funzionava, funzionava sempre.

***

Quel giorno faceva così caldo che Vittoria era stata costretta a spostarsi dal suo studio su cui batteva insistentemente il sole fino a sera, le era stata affidata una stanza piccola ma tranquilla, più interna in modo che fosse molto fresca e con una graziosa finestra che si affacciava sul giardino. Subito, appena arrivata in quell'ambiente, Vittoria appoggiò il suo libro e si affacciò per godere di quella semplice ma graziosa vista. Si accorse che Isabel e le sue damigelle erano sedute sulle panche in pietra e stavano tranquillamente godendosi dell'aria fresca e l'ombra degli alberi, chiacchierando di tanto in tanto. Vittoria non poté fare a meno di notare quanto la Cardona fosse bella anche in abiti piuttosto semplici, anche con la divisa umile da vedova, senza alcun gioiello a illuminarle il volto e i biondi capelli raccolti in una lunga e ordinata treccia, senza perle o nastri intrecciati in essa.

Stava per mettersi finalmente a studiare, abbandonando quel delizioso quadretto di una quotidiana tranquillità, quando vide uscire Ferdinando. Si immobilizzò e, contro la sua volontà che le ordinava di prendere il suo libro e svagarsi, rimase ferma alla finestra ad osservarlo. Aveva salutato con le sue solite ed eleganti buone maniere la Cardona e si apprestava a sedersi vicino a lei, quasi sicuramente senza chiederle il permesso. Isabel si irrigidì improvvisamente appena lo vide, avvicinò le sue mani e le tenne in grembo, per evitare che lui le prendesse. Vittoria notò che il suo volto si era colorato di un bianco pallore, la sua espressione era preoccupata e infastidita, forse anche quasi impaurita.

«È una bellissima giornata, non vi pare?» le parole le arrivavano accompagnate dal vento, con uno strano eco, ma riusciva a comprendere tutto ciò che veniva detto. Ferdinando aveva attaccato la conversazione, sapeva già dove voleva andare a parare.

«Meravigliosa, signor marchese» rispose secca Isabel volgendo lo sguardo verso le sue damigelle che erano rimaste tutte in silenzio.

«È perfetta per poter stare un po' soli all'aria aperta» continuò, «sembra di stare in paradiso.»

«È questo che siete venuto a fare, signore?» domandò lei in modo piuttosto irriverente, non era mai stata maleducata nei suoi confronti ma adesso cominciava a mal sopportare la sua vicinanza, «non mi pare che siate venuto qui per stare solo in tranquillità.»

«No, infatti, credo sia quello che stavate facendo voi» le rispose, «io sono qui per parlare con voi, mia signora. Non sono, per caso, gradito?»

Isabel deviò lo sguardo, se solo non fosse stato troppo esagerato per una gentildonna come lei si sarebbe alzata e lo avrebbe lasciato lì da solo, senza degnarlo di una risposta.

«Non voglio dire una menzogna, signor marchese, e non lo siete per niente» lo fulminò con lo sguardo, poi aggiunse, «dato che ero venuta qui per avere quiete e il vostro arrivo l'ha cacciata via, andrò a cercarla da un'altra parte.»

Ferdinando si alzò insieme a lei, afferrandole audacemente la mano per trattenerla. Isabel si immobilizzò, terrorizzata e imbarazzata da quel contatto, il volto completamente rosso dalla vergogna e dalla rabbia.

Vittoria si avvicinò un po' di più per sentire, ormai non riusciva più a farne a meno. Non credeva che ci potesse essere qualcosa che avrebbe potuto farle più male di quanto aveva già visto e, anche se ci fosse stato, desiderava sapere tutto. Si sarebbe messa a piangere, qualche lacrima si stava già preparando a scenderle lungo le guance ma si sforzò di trattenerla.

«Sono venuto qui per voi» le sussurrò lui con quel tono affascinante che avrebbe abbattuto le difese di qualsiasi giovane donna.

«E io me ne sto andando a causa vostra» ribatté lei, non con il tono di voce deciso come avrebbe desiderato.

«Mia signora» la avvicinò pericolosamente a sé, Isabel si ritrasse per quel che poteva ma la situazione era così strana che non riusciva bene a capire che cosa le stesse accadendo: il marchese era bello e aveva un fascino che nessuno avrebbe potuto negare, quella vicinanza l'aveva turbata in un modo diverso rispetto alle altre volte, glielo si leggeva nella sua espressione. «Non siate così fredda, lasciatevi andare...»

I suoi occhi erano fissi sulle sue labbra, i loro visi così vicini che Vittoria dovette stringere i denti per evitare di scoppiare in pianto, i suoi occhi ricolmi di lacrime minacciavano di cedere da un momento all'altro.

«Lasciatevi amare.»

Le labbra del marchese si posarono dapprima dolcemente su quelle della viceregina, Isabel rimase completamente spiazzata da quel contatto, sgranò gli occhi, non riuscendo a reagire prontamente. Il bacio si fece più profondo, Ferdinando non si astenne dalla passionalità e la Cardona, immersa in un turbine di emozioni, non riusciva ancora a opporsi in modo forte come avrebbe desiderato. Fu quando il marchese superò il segno che Isabel si riscosse: la mano che Ferdinando le aveva posato sulla vita era salita fino ad arrivare ad insinuarsi dentro il corpetto, quando l'ebbe raggiunto abbandonò tra il dolce e prosperoso seno della Cardona un gioiello che lei stessa non riuscì subito a capire che cosa fosse. Con uno strattone si staccò improvvisamente da lui e, mettendosi la mano in seno, tirò fuori, ancora in piena confusione, una collana di perle bianchissime.

Non fece a tempo a dire qualcosa, a esprimere con quelle poche parole che le venivano in mente in quel momento tutta la sua disapprovazione, la rabbia e la vergogna che provava che udì un improvviso singhiozzo provenire dall'alto: Vittoria non aveva resistito, era scoppiata a piangere e si era allontanata dalla finestra correndo, decisa a non vedere altro.

Isabel guardò Ferdinando con aria schifata, disgustata.

«Fossi in voi mi vergognerei, signor marchese» lo guardò disgustata, avrebbe voluto buttare in terra il gioiello che le aveva donato in un modo tanto scabroso, ma pensò che quasi sicuramente non era stato comprato per essere donato a lei ma aveva già un proprietario.

Gli girò le spalle furente, il volto completamente rosso e accaldato, le lacrime che le pizzicavano gli occhi. Sapeva dove andare, sapeva da chi andare.

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora