27. Tronca allor l'ali ai bei nostri desiri

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La festa per celebrare l'arrivo della viceregina fu il meglio che Ischia potesse offrire. Il castello aragonese si riempì di colori, di musica, di ospiti: furono invitati per l'occasione tutti i nobili napoletani, tra cui anche Costanza d'Avalos, suo marito e la loro figlia.

Vittoria, quando arrivarono nel primo pomeriggio, molto prima dell'inizio programmato delle danze, andò loro incontro con un grande sorriso e le lacrime agli occhi. Era così felice di poter rivedere sua cugina dopo anni di sole lettere e solamente qualche sporadico incontro. La guardò per qualche attimo senza dire niente, poi si strinsero in un dolce abbraccio, un abbraccio che solo le persone veramente affezionate l'una all'altra potevano comprendere.

«Non sapete quanto è bello per me avervi qui, di nuovo, mia cara duchessa» rimarcò l'ultimo termine con orgoglio, ancora non si era propriamente abituata ad utilizzare un tale titolo onorifico per la cugina con la quale aveva sempre avuto grandissima confidenza, lo stesso valeva per il "voi".

Poi rivolse lo sguardo verso Alfonso Piccolomini, suo marito, e gli porse i suoi saluti. Non sembrava un uomo allegro, le sue impressioni di quando l'aveva visto la prima volta prima del matrimonio della cugina non erano per niente cambiate, ma Costanza era felice e questo era ciò che veramente importava.

«Lei è Costanza» la duchessa di Amalfi prese per mano la bambina che osservava Vittoria con dei grandi occhi celesti e un fare timido, «la nostra primogenita mentre Alfonso è rimasto a palazzo con le balie, è ancora troppo piccolo per viaggiare.»

«Dov'è la signora duchessa?» domandò Costanza guardandosi intorno, il via vai nel castello di Ischia stava aumentando sempre di più con l'arrivo di nuovi ospiti, «e Alfonso?»

«E vostro marito, signora marchesa?» aggiunse Alfonso Piccolomini, «desidererei grandemente porgergli i miei saluti.»

Vittoria esitò un attimo, non sapeva dove fosse Ferdinando: con l'arrivo di Costanza le era completamente passato di mente suo marito e, forse, credette che era meglio per lei non sapere dove e con chi fosse. Aveva visto la viceregina, le aveva detto che sarebbe andata a cambiarsi e prepararsi nelle sue stanze, ma temeva che Ferdinando avesse trovato qualche scusa per stare solo con lei.

«Mi dispiace dirvi che non lo so» rispose lei accennando un timido sorriso, «siamo tutti così eccitati dai preparativi per questa grandissima festa che ci siamo persi di vista. Signora duchessa» si rivolse a Costanza porgendole il braccio, «se desiderate posso portarvi da vostra zia e, intanto, potremo fare un giro del castello, per riportare alla vostra mente le dolci memorie dell'infanzia.»

Costanza sorrise, non indugiò neanche un attimo e afferrò il braccio che la cugina le porgeva lasciando sua figlia nelle mani della balia che l'aveva accompagnata da Amalfi.

«Non sapete quanto mi era mancata Ischia» le sussurrò Costanza con gli occhi colmi di emozione, «sto bene ad Amalfi, il nostro palazzo è meraviglioso, non mi manca niente ma non è possibile per me chiamare casa un luogo diverso da questo.»

«Ischia è effettivamente la vostra casa, più di quanto sia la mia a dire il vero» ridacchiò Vittoria, «sono felice che tutto stia andando bene, vi vedo veramente allegra e ne sono contentissima.»

«Sì» annuì lei, «tra me e mio marito non è sbocciato nessun amore, ma Dio ci ha benedetto con due figli e un terzo che sta per arrivare.»

Costanza si mise una mano sulla pancia, solo in quel momento Vittoria si accorse che si cominciava a vedere l'inizio della nuova gravidanza. Si incupì un attimo, ma cercò di forzare un sorriso. Costanza se ne accorse.

«Mi dispiace, mia cara» esclamò, «non volevo portarvi a ricordare cose spiacevoli...»

«Non dovete scusarvi» la interruppe lei tentando di rassicurarla con un triste sorriso: la sua sterilità, anche se Alfonso aveva riempito un po' il vuoto di non poter essere madre naturale, continuava a tormentarla e Vittoria sapeva che non avrebbe mai veramente smesso: era una cosa che faceva parte di lei e che, di conseguenza, si sarebbe portata dietro per tutta la vita, «purtroppo è una cosa che non posso dimenticare, ma questo non significa che non sia infinitamente contenta per voi che potete gioire di questi grandi doni che sono i vostri figli.»

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora