31. La spada, la virtù, l'invitto core (parte 1)

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Il re di Francia, Francesco I, non aveva alcuna intenzione di far stare il suo paese neanche in una parvenza di tranquillità: la sconfitta delle truppe di Carlo V, il nuovo imperatore del Sacro Romano Impero, in Provenza nel 1523 non aveva fatto altro che aumentare la sua voglia di riconquista e il re aveva concentrato tutte le sue forze per recuperare Milano che, inevitabilmente, era ritornata nelle sue mani alla fine dell'ottobre del 1524. L'esercito di Carlo V fu costretto a ritirarsi, a causa della grande inferiorità numerica, a Lodi ma furono lasciate una guarnigione di circa seimila soldati a Pavia, città molto importante dal punto di vista strategico. I francesi non tardarono molto ad assaltarne le mura, ma, destabilizzando la loro cieca sicurezza nella vittoria, la città resistette ai primi tentativi di assalto e i francesi furono costretti ad organizzare un vero e proprio assedio. L'esercito francese distrusse tutto ciò che c'era nei dintorni di Pavia, furono assaliti, saccheggiati e occupati tutti i borghi e i monasteri nelle vicinanze della città, ma, nonostante fosse rimasta completamente isolata, Pavia non cedette.

Gli aiuti arrivarono, l'imperatore inviò dopo qualche mese, all'inizio di febbraio dell'anno 1525, ventimila uomini comandati da tre dei suoi generali migliori e tra i più fidati: Carlo di Lannoy, viceré di Napoli dopo la morte di Ramon de Cardona, Carlo di Borbone, ex conestabile francese che era passato al servizio degli imperiali, e il marchese di Pescara.

***

Era notte, ma l'aria fredda dell'inverno non sembrava neanche sfiorare i soldati accampati fuori dalle mura del parco Visconteo e men che meno i loro generali. Solo una fioca luce di una lanterna, posata sul tavolo del padiglione del viceré di Napoli, Carlo di Lannoy, illuminava la stanza, tutt'intorno, con le mani in grembo e pensierosi, sedevano gli altri due comandanti. L'esercito imperiale venuto in aiuto agli uomini rimasti a Pavia si era accampato nel Parco Visconteo, un meraviglioso giardino che presto sarebbe stato trasformato in un campo di battaglia. L'esercito imperiale si era accampato proprio al muro ovest del parco mentre le truppe di Francesco I si erano spostate e avevano preso posto nella zona a est di Pavia e il re si era trasferito nell'Abbazia di San Paolo.

«Dobbiamo attaccare il prima possibile» Carlo di Borbone, con la sua voce roca e bassa, ruppe il silenzio che si era creato. Era un uomo di cui ci si poteva fidare almeno per quanto riguardava le operazioni militari: prima di abbandonare le file francesi era stato uno dei migliori generali al servizio del re Francesco I e conosceva molto bene il modo in cui si muoveva il suo esercito.

«Avete notizie degli assediati?» domandò Ferdinando rivolgendosi a Carlo di Lannoy.

Il viceré annuì debolmente, la sua espressione tradiva tutta la sua preoccupazione.

«Sono stremati» rispose, «ormai sono tre settimane che i francesi attaccano e ogni giorno che passa gli assediati dentro le mura di Pavia si indeboliscono e i nostri nemici diventano sempre più forti. Il tempo per aspettare è finito, adesso dobbiamo passare all'azione.»

Ferdinando rimase qualche attimo in silenzio, a pensare. Osservava con sguardo vigile e attento la cartina del parco che il Lannoy era riuscito a procurarsi, più che lo studiava più che un piano stava prendendo forma nella sua mente. Il parco, oltre ad essere circondato da una spessa cinta muraria, era diviso in due parti: il Parco Nuovo e il Parco Vecchio. Al centro torreggiava una fortezza, occupata dai francesi, il Castello di Mirabello, che serviva all'esercito di Francesco I come base per ricevere e inviare notizie a Milano.

«Io direi di schierarci domani mattina all'alba» propose, sicuro di sé, il Lannoy, «e di puntare sugli squadroni di Francesco I, se distruggiamo i suoi seicento uomini il re non riuscirà a scappare e avremmo vinto immediatamente.»

«Sottovalutate che i francesi hanno alleati» rispose Ferdinando continuando a tenere lo sguardo fisso sulla mappa, più che la guardava più che delle scene, chiare e nitide, prendevano forma nella sua testa, «dove saranno gli squadroni di svizzeri e le truppe della Banda Nera: non crederete mica che, se Giovanni de' Medici è stato ferito nella scorsa scorreria, i suoi uomini siano esonerati dalla battaglia?» il marchese di Pescara fece una pausa, «uno scontro frontale è il miglior modo per determinare la nostra disfatta.»

Uno dio per la sua bocca parlaDove le storie prendono vita. Scoprilo ora