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Altea

Apro le tendine della doccia ed esco dal bagno avvolta nella salvietta bianca, spalanco la dispensa e ci sono solo i cereali a pregarmi di non essere ingurgitati. Vivere da sola è stupendo ma fare la spesa non rientra nei miei piani, odio scorrazzare fra le corsie dei market in cerca di sugo e formaggio. Leopold fa le fusa contro la porta d'ingresso, lascio che si rifugi nell'androne. Ama restare sul portico, lì c'è sempre un buon odore di dolci. Torno in camera per indossare qualcosa e opto per un cardigan over e un jeans skinny, mascara e rossetto nude. Semplice ma casual. I capelli sfiorano a stento le spalle da quando ho deciso di dare un taglio netto alle doppie punte, indosso il solito cappello e torno in cucina. Controllo le ultime notifiche dal pc per il lavoro da casa, il cellulare squillare rumorosamente sommerso dalle coperte.
«Amica, cosa fai?» il viso spigolo e gli occhi limpidi si materializzano sullo schermo, innalzo il braccio e mostro il mio outfit.
«Non posso crederci, stai rifornendo il frigo?» mi prende in giro.
«È un lavoro duro ma qualcuno deve pur farlo, non pensi?» ridacchio e siedo sul divano. Il televisore trasmette un programma di cucina, la luce penetra dalla grande finestra e i libri sono perfettamente ordinati per colore.
«Domani festa al Campus, Adriel ha insistito così tanto che non ho resistito» sporge il labbro inferiore.
Nego ripetutamente, questa è la terza festa in due settimane.
«Non posso Elide, ho del lavoro da consegnare» mento spudoratamente e sbuffa per il rifiuto.
«Okay ti lascio, mia madre chiama. Ti voglio bene, a domani» interrompe la conferenza.
Ripongo l'occorrente nella borsetta e scatto la serratura, inserisco il guinzaglio nella pettorina e cammino a passo spedito verso la noia. Il quartiere dove vivo è molto tranquillo, non ci sono molte persone per strada e le anziane che incrocio, sorridono cordiali.
Non c'è più nulla che manca, penso solo a me e a come stare bene. Dopo alcuni minuti l'insegna è visibile, grande e rossa.
Ripongo Leopold all'interno del cestello, nemmeno lui sembra contento di essere qui, e afferro tutto quello che sembra invitante: panini, sandwich con polpette di carne, formaggio, lattuga e verdure. Una barretta di cioccolato e qualche caramella.
Arrivata al banco dei surgelati, rabbrividisco tentata di afferrare del filetto.
«Non puoi fissarlo per sempre, hai tutta l'intenzione di restare qui per la chiusura» roteo il capo in direzione della voce e tremo quando incrocio, di nuovo, gli occhi più glaciali che abbia mai visto.
«Odio i surgelati, non posso credere che le persone mangino la pizza col ghiaccio» dico, sogghigna e tossisce. Guardo distrattamente il suo cesto ed quasi tutto pieno di supercongelati, sorrido imbarazzata.
«Ti sei trasferito da poco?» Lowell annuisce e infila una mano nei ricci. Sembrano fili d'oro, il biondo risalta ancora di più sotto le forti luci. Leopold miagola attirando la nostra attenzione, cibo per gatti.
«È un gatto grasso questo?» cerca di accarezzare il suo pelo non accetta e cerca di lacerare la pelle con le zampe.
Non si comporta mai in questo modo, solo se c'è qualche minaccia. «Buono micio, non voglio mica cuocerti alla brace» cerca di tranquillizzarlo ma non sembra riuscirci.
Ci rinuncio e saluto Lowell con un cenno della mano, mi dirigo nel reparto animali e poi in cassa. Tre buste nella mano sinistra e due nella destra, il laccetto legato sul polso e tanta pazienza. L'auto non era un opzione, volevo assaporare il piacere dei raggi solari sulla pelle diafana, ma adesso vorrei solamente che qualcuno venisse in mio soccorso. Le mani si sono arrossate e i minuti sono diventati ore per le soste assidue, non sorrido nemmeno quando alcune bambine mi salutano.
All'ultima sosta decido di non interrompere il cammino e quando arrivo finalmente davanti all'ingresso sembra un miraggio.
Afferro le chiavi dalla borsetta, cedo e cascano.
«Cazzo!» impreco e cerco di piegarmi sulle ginocchia.
Leopold tende la corda, arrossando ulteriormente la zona.
Dita lunghe e tatuate le agguantano, riconosco quelle lettere disegnate così bene.
Il profumo e lo stesso della prima volta, gerani.
Deglutisco rumorosamente e con timore alzo lo sguardo sul viso, sbatto le palpebre per mettere a fuoco la figura. Le treccine sono nascoste da un berretto, gli occhi a mandorla sono contornati da occhiali neri, al naso il solito cerchietto d'argento, le labbra rovinate dal vento freddo e il giacchetto di pelle arrotolato sugli avambracci. «Ciao...»
Il tono è lento e mascolino, sono settimane che non sento il suono della sua voce. Non riesco a proferire parola, sono sicura che un pugno avrebbe fatto più male. Inserisco la chiave ma le montagne attendono di essere scalate, due rampe e 24 scalini.
«Posso darti una mano se vuoi» con calma si avvicina e lo lascio fare, tengo Leopold mentre faccio strada.
La luce ci investe e sono grata di aver sistemato prima di essere uscita.
«Puoi lasciare tutto sul tavolo» fà come dico e ripone le mani nelle tasche.
«Come sei arrivato fin qui?» cerco di non incontrare la sua espressione, vaga nel salotto.
«Sono andato a casa tua, la domestica ha detto che non vivevi più lì e mi ha ceduto l'indirizzo dell'appartamento» dice.
Riferirò di non dare il mio numero civico a chiunque.
«Cosa vuoi?» chiedo, senza troppi giri di parole.
Scopre le treccine e lecca il labbro inferiore.
«Parlare con te, vederti.... non è abbastanza per arrivare fin qui?» confessa. Osservo da vicino un lato di lui che non avevo mai visto, questo sguardo è riservato solo a Tyron e Travis. Mordo il labbro e roteo il capo verso il frigo, un leggero sorrisetto erge spontaneo dalle mie labbra. Torno profondamente seria e inizio a preparare qualcosa da mettere sotto i denti.
«Possiamo parlare di ciò che è successo?» annuisco e poggio i gomiti sul tavolo.
«Non posso dirti tutto perchè potrei esporre molto persone, sappi solo che mi dispiace. Non volevo coinvolgerti in tutto questo, non sono ciò che credi ma posso garantire che con te sono stato sempre me stesso» poggia una mano sul cuore. Gli occhi brillano sotto una luce diversa, la collera e la debolezza sono presenti.
Fingo di non star tremando e verso del sale nell'acqua, perché continua a restare lì con le mani sul petto?
Annuisco involontariamente e lecco ripetutamente il labbro superiore, sono nervosa.
Non cerca perdono, vuole solo essere capito. Non riesco ad odiarlo, dovrei essere delusa dal suo comportamento ma quando ho sentito il suo profumo mi si è annebbiata la mente.
«Va bene Jordan, stai proteggendo le persone che ami e ti capisco» mostra le fossette e accarezza il mio braccio in un gesto colmo d'affetto, la pelle coperta di puntini e il cuore palpitante.

«Resti per pranzo?»

The Boxer's Clan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora