Altea
Quante volte desideriamo nascere in un'altra epoca?
Un luogo? Una famiglia diversa? Tante volte.
Ho sempre voluto reincarnarmi in altre persone per il semplice gusto di vivere in un altro corpo, gustare la sensazione di trascorrere del tempo con persone che non siano sempre le stesse. Ho imparato a convivere con la paura di camminare da sola per strada, ho imparato a convivere con il giudizio delle persone e a sopravvivere in questa vita che non ammette sbagli.
È diventata una guerra contro sé stessi e contro la società che ci circonda, essere etichettati solo per: il vestiario, l'orientamento sessuale, il colore della pelle e per la religione è diventata la moda di questo nuovo secolo. Affrettare giudizi e ritrovarci delle persone completamente diverse da quello che in realtà immaginiamo, affidare la prima immagine a delle semplici copertine senza aver sfogliato le prime due pagine di libro. Questo è quello che non si è ancora capace di distruggere, preferiamo sopravvivere piuttosto che vivere. Essere Altea Mavis e vivere poco lontano da TysonVille non mi ha agevolato la carriera, ma non ho mai rinnegato il posto in cui vivo. Ho sempre cercato di difendere a spada tratta ogni ragazzo che in tribunale chiedeva aiuto a mio padre, senza mai chiedere nulla in cambio. Assolvo gli imputati di mio padre ancora prima che possa farlo lui, sono una giornalista il mio compito è scrivere articoli per informare la comunità delle continue ingiustizie che subiscono ogni giorno. «Altea dobbiamo andare» alzo la guancia dal bancone, incrociando gli occhi spenti di Elide. Mi guarda torva come se fossi l'unica del locale ad aver alzato il gomito, persino il bicchiere di rum mi sta fissando in malo modo. Estraggo il cellulare dalla tasca per controllare la barra delle notifiche, nessun messaggio. Hanno capito che mi piace essere lasciata sola in momenti come questo. Soffrire di crolli emotivi persistenti non è facile né per me né per le persone che mi sono accanto, spesso mi rifugio nell'alcool solo per dimenticare le continue paranoie che inondano la mia testa.
''Non mangiare troppo.''
''Non comportarti in questo modo.''
''Smettila di pensarci.''
Affronto tutti i giorni battaglie più grandi, ma non riesco a combattere contro i mostri che vivono dentro di me. Riescono perfettamente a controllarmi, a farmi sentire impotente.
«Vieni ti porto a casa» sono ubriaca tanto da non reggere il mio peso sulle gambe. Adriel mi solleva come una piuma. Elide è la mia migliore amica da due anni, ci siamo conosciute ad un'incontro speciale contro la violenza sulle donne, subito abbiamo capito che entrambe non potevamo fare a meno l'una dell'altra. Le basta guardare i miei occhi per captare i miei pensieri, l'unica capace di regolare i miei respiri.«Non deve addormentarsi»
«Non si addormenterà, sono sicuro di questo» i sedili posteriori dell'auto sono così comodi da ubriaca, che da sobria, non so nemmeno che colore abbiano. Riconosco però, lo stesso profumo che indossa la mia amica da cinque mesi. Sono così passionali ed innamorati da guardarsi sempre come il primo giorno, sempre con l'ansia della prima volta e le farfalle nello stomaco. Poso le dita proprio su quest'ultima, disegnata sulla clavicola sinistra. L'ho tatuata all'età di sedici anni, nello stesso momento in cui i problemi hanno iniziato a stravolgermi la vita. Non sono mai stata davvero innamorata ma c'è stato un ragazzo che ha segnato la mia adolescenza da non riuscire a dimenticarlo nemmeno dopo tanti anni, l'ho visto una mattina poco lontano dalla fermata dell'autobus in compagnia dei suoi amici. Non conoscevo il suo nome ma avevo già capito che sarebbe diventato qualcuno, infondo un visino come quello non poteva essere sprecato a TysonVille. È apparso sul canale sportivo e poi si è materializzato nell'ufficio di mio padre, stravolgendo la mia vita senza conoscerla.
«Altea riesci a sentirmi?» le dita di Elide s'intrufolano tra le mie, sorrido per quanto piccole al confronto. Adriel guida con il viso corrucciato mentre il senso di colpa mi divora l'anima.
«Acqua...» è l'unica parola che riesco a farneticare prima di inclinare il capo sul sedile, sono stanca ma non posso chiudere le palpebre. Li apro quando distinguo il mio quartiere, identifico la casa in cui vivo da una vita intera: la staccionata bianca, i muri esterni ridipinti di azzurro e la siepe ricoperta di rose rosse. Il fiore, il colore e le spine rappresentano me. La portiera viene aperta bruscamente mentre la testa penzola fuori dall'auto, rido sonoramente, se non avessi del rum in circolo per il mio corpo sicuramente guarderei la scena con disgusto.
«Riesci a reggerti in piedi?» la guancia colpisce l'auto, mi accascio sull'asfalto fresco e sono patetica. Il ragazzo riesce a portami sull'uscio della porta dopo aver imprecato varie volte, un auto estranea alla nostra è parcheggiata nel vialetto. Acciuffo le chiavi dalla borsa, afferro il cappellino dalle mani di Elide e stiro i jeans sulle gambe, correggendo la postura. Mio padre non deve vedermi così, non voglio causare ulteriori problemi tra noi. Ho sempre cercato di creare un legame che andasse oltre il rapporto professionale che ha con i suoi clienti, un rapporto che potesse consolidare i nostri sentimenti. Crescere mi ha dato la possibilità di accertarmi che non sempre mio padre è leale nelle cause in tribunale, troppe volte ha progredito lavori che non andavano svolti, troppe volte ha detto si quando bastava un semplice no. Ho sempre cercato di aggrapparmi alle sue uniche passioni: il lavoro e l'ippodromo per non perdere la capacità di comunicare. Non ha funzionato, non è mai riuscito a capire che a volte è importante lasciar proseguire da soli i propri figli, non bisogna accompagnarli per sempre. La vita prima o poi ci metterà davanti a delle scelte e siamo noi a dover decidere da che parte stare. La delusione costante nei suoi occhi mi fa capire che avrebbe voluto una ragazzina tranquilla e pacata al suo fianco, invece si è ritrovato una tigre pronta a sbranare.
«Possiamo andare adesso?» chiedono, annuisco.
Apro la porta e il cappello cade sul parquet di legno scuro, gemo sonoramente.«Altea...» la voce del padrone di casa risuona in tutta la stanza, incrocio lo sguardo imbarazzato. Le Glock sono puntate verso la porta, dove alcuni secondi fa, è spuntata la mia testa frastornata dall'alcool. Non sono sorpresa avevo già previsto che dopo l'accaduto avrebbe chiamato qualcuno per assicurarci la giusta protezione. «Papà?» richiamo la sua attenzione. Il ragazzo dalla carnagione chiara si presenta per primo mettendo in mostra il sorriso migliore.
«Sei ubriaca?» chiede. Quanto vorrei rispondere che non è come sembra, ma sono stordita e la facoltà di parlare mi ha lasciato molte ore fa. Perdonami papà se non sono come tu volevi ma, ho bisogno di buio per trovare un po' di luce.#spazioautrice
Prima di tornare a pubblicare su questo piattaforma ho pensato bene a tutte le opportunità che questo ''dono'' potrebbe offrirmi e a tutti i sogni che non riuscirò a realizzare.In realtà intraprendere un percorso nuovo con dei personaggi nuovi,sembra essersi rivelato più difficile del previsto.Non mi aspettavo così tanta difficoltà,ho sempre affrontato tutto con massima leggerezza ma il Covid sta rendendo le cose più difficili e l'unico modo per espellere fuori la rabbia è scrivere.Scusate lo sfogo,spero con tutto il cuore che questo capitolo vi sia piaciuto e che vi abbia distratto un pò dal resto del mondo.
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The Boxer's Clan.
ChickLit🔞 Questa storia contiene: violenza, linguaggio scurrile e uso di stupefacenti. E se dalle scelte derivassero i problemi e le conseguenze di un'intera comunità? E se gli accordi con i soci saltassero da un momento all'altro? Tyson Ville non ha mai g...