Jordan
Oggi è il dodici dicembre.
Il conto alla rovescia è cominciato.
Dieci giorni al caos.
Un mese al ritorno della bestia sul ring. Percorro velocemente il sentiero di casa, serro il cancelletto con una spinta. Le nuvole grigie occupano il cielo, le grida dei bambini risuonano in tutta la zona. L'aria natalizia in questi giorni riempie le strade, luci colorate ornano i pochi negozi. Un grosso albero risiede al centro, la scuola chiusa per le feste e le madri meno preoccupate per i figli. Corro spedito verso casa di Dani, il gilet strige sul petto e i calzoni scivolano sulle calze. Non importa quanto tempo indugi sugli allenamenti, il corpo sarà sempre abituato allo sforzo fisico. Tyron è seduto in veranda, mia sorella sorride divertita. Il moro bisbiglia qualcosa e stringe i denti per non ridacchiare, aggrotto le sopracciglia.
«Dov'è la bambina più bella del mondo?» alzo le braccia pronto ad afferrare Isa, nessuna testolina spunta dalla porta. La madre arriccia il naso, abbranca la tazza dal tavolo.
«Maddison l'ha portata al parco, era così felice di andarci!» si dilegua oltre la porta. Sporgo il labbro inferiore e incrocio le braccia al petto, ho bisogno di quella bambina. Una piccola dose di felicità è racchiusa nel sorrisetto furbo e scaltro, nelle manine che stringono forte la t-shirt, prima di cadere fra le braccia di Morfeo.
«Tu cosa ci fai qui?» reclamo una soluzione credibile.
«Le tubature in cucina sono collassate, sono venuto a controllare quelle del bagno...» si gratta il capo, il ginocchio trema.
È nervoso, molto nervoso.
Il discorso non regge, perché Danika ha chiamato lui e non me? Ho visto poche volte mia sorella ridere in quel modo, solo Damon ci è riuscito. Stringo i pugni lungo i fianchi, drigno i denti. Presso forte la mascella, i polpastrelli sono sudaticci.
«Non è come pensi!» sbraita, affanno.
«Se hai osato toccare Danika con un dito... ti darò in pasto agli animali del bosco, nudo» ringhio ad un centimetro dal naso. La donna entra in scena, stringe sullo sterno la cassetta degli attrezzi. La lascia cadere e ci osserva, confusa e smarrita.
«Cosa state facendo?» oscilla sulla t-shirt stretta nel pugno e sulle labbra traballanti del mio migliore amico. Tyron non proferisce, lascia parlare me.
«State insieme?» chiedo, dritto al punto.
«Ma sei impazzito?! Ty non prendertela... ma bleah!» poggia due dita sulla lingua, mima dei conati profondi. Scrollo le spalle e sistemo l'indumento sgualcito, sorseggio del caffè e siedo sulla poltrona. Dovrei cominciare l'allenamento, ma Tyron ha qualcosa da dire. Gli occhi spifferano tutto.
«C'è una ragazza...» socchiudo gli occhi.
«Non tua sorella, stupido! Credo di essermi innamorato Jay, amore a prima vista...» farfuglia, gioca con i laccetti della tuta.
«Tua sorella mi ha consigliato di conoscerla, solo che con il clan, gli incontri...è un tantino difficile, no?» acconsento.
Quanto è faticoso nemmeno immagini, vorrei aderire ad Altea. Andare ovunque, svolgere mansioni normali, senza assentarmi un secondo. Lontano da lei è tutto così opprimente, soffocante.
«Non impossibile, può venire con noi agli incontri, non è un problema per me e non deve esserlo per gli altri...» scatto in piedi. Controllo l'ora sull'orologio: è tardissimo. Discendo gli scalini e saltello sulla staccionata. Ho moltissime cose da fare oggi, troppe per una sola persona. Strizzo l'occhio sinistro e saluto con un cenno, odio i convenevoli. Volevo solo chiacchierare con Isa, mi sono ritrovato Tyron e i suoi drammi. Schiaccio i gomiti sulle costole e inizio a correre, prima il piede destro e poi il sinistro. Si deve avere un'età per smettere di sognare? C'è un traguardo preciso da superare? Quando ero bambino desideravo scalare le classifiche di tutto il mondo. Ci sono riuscito. Le persone mi acclamano per quello che faccio, ma un lato di me vorrebbe altro. Quello adulto, pensante e critico. Una volta arrivato alla meta, riuscirò a gestire tutto? Lo sport, la famiglia, una moglie, dei bambini...Credevo di essere impassibile e sereno riguardo al futuro, invece c'è solo un tetro sentiero ad attendermi. Il nome di mio padre è ancora scritto sulle spalle, non riuscirò mai ad eliminare ogni traccia del Salvadores. Non riuscirò mai ad essere solo Jordan, un ragazzo di ventiquattro anni.
Comincio a percorrere la strada per il parco, rivolgo uno sguardo a Maddison. Non mi fido di lei quando i suoi amici sono nei paraggi, aspira del fumo da una sigaretta. La mia Isa non dovrebbe vedere certe cose. Un piccolo bimbo spunta dagli alberi, il pollice infilato fra le labbra e le lacrime ai lati degli occhi. Solo una felpa a coprirgli le spalle, il gelo di questa mattina è paragonato a quello artico.
«Mamma?» rotea il capo verso l'uscita, spaventato. Richiama più volte il nome, tira via un ricciolino biondo dalla fronte. Singhiozza, squassato dal dolore. Nessuno gli presta attenzione, nessuno tranne me. Smetto di trottare sul posto, cerco di sfoderare tutta la pazienza che posseggo e m'avvicino all'animaletto.
«Ciao!» mi piego sulle ginocchia alla sua altezza. Scuoto le dita e mostro i buchetti ai lati delle guance.
«Ti sei perso?» chiedo, annuisce senza fiatare.
«Ti ricordi da dove sei arrivato?» non voglio essere troppo invadente. È un marmocchio, non voglio terrorizzarlo. Sua madre dovrebbe essere più prudente. Ci sono molte persone che bramano un'occasione delgenere. Il mercato nero degli organi esiste, è una realtà sotterranea ma diffusa. Scompiglio i capelli per calmarlo, un gesto dettato dal cuore.
«Come ti chiami?»
«E-ev-ven» balbetta.
«Wow! Un nome da Re!» proferisco, sorride.
«Allora, dove abiti?» accorcia la distanza e stringe con forza i pantaloncini, gesto molto diffuso fra i ragazzini. Indica la strada con il ditino, seguo le indicazioni.Attraversiamo il ciglio sporco, la casa dei Robinson e quella dei Monroe. Quante volte mi sono nascosto fra i cespugli per non essere scoperto, sporcato di fango e bagnato di rugiada. Questo posto può essere definito in tanti modi, ma per me resterà sempre casa. La stazione è stata per tanto tempo il riparo che mi ha protetto dagli agenti atmosferici, nell'edificio abbandonato echeggiano le grida delle notti insonne e del dispiacere soffocato. Non è l'ambiente giusto per crescere: troppa violenza, troppe parole sussurrate. Non è presente l'innocenza, eppure nessun luogo ha lo stesso valore. TysonVille ti vincola, malgrado ciò, permane dentro come una bella malinconia.
«Qui...» mormora, lascia la presa.
Sono passati nove anni dall'ultima volta.
Il giardino perfettamente curato, a differenza degli altri. L'albero sul retro ombreggia il tetto, sulla destra l'altalena di corda e sulla sinistra il tavolo in legno massiccio. Sulla porta, scritto in caratteri cubitali, un solo cognome: Walker. Pigio sul campanello, indugio per qualche secondo. Una mano sul cuore e l'altra sul fianco, la donna spalanca la porta. Tira via il mostriciattolo e lo rimprovera severamente, non bada a me...È troppo occupata. Un groviglio sul capo e anellini impigliati fra le trecce, la pancia scoperta e un paio di jeans a vita bassa. Dita lunghe e affusolate, labbra carnose e colorate di rosso. Ellen Magdalene Walker, primogenita della famiglia.
Tossisco malamente, finalmente m'osserva.
«Sei sua madre?» la ragazza sgrana gli occhi grandi, sorride. Circonda le mie spalle e bacia le clavicole con dolcezza. La pelle è calda, qualche tonalità più scura.
«Non ci posso credere! Jones! Ares Jones!» esclama entusiasta.
«Cosa ti porta in questo lato di TysonVille?» chiede ironica, punge come ha sempre fatto.
«Una stella in periferia!» sollevo le braccia e ghigno.
«Entra!» nego, punto il pollice verso il vialetto.
«Devo andare, ho un allenamento da seguire...» sporge il labbro inferiore, la stessa espressione di quando era bambina.
Quanti baci le ho rubato mentre dormiva.
Quante smorfie e quanti pianti ci hanno accomunato.
Scruto il figlio e poi lei, nessuna somiglianza.
«Un caffè, va bene?» sorrido ad Even, elimina la rughetta sul viso e corre a prendere i giochi. La cucina profuma di zenzero, sulla porta il vischio è raccolto con del nastro rosso, palline colorate e adesivi a tema ornano le finestre. M'invita a sedere sul ripiano in marmo, armeggia con la macchina e versa il liquido.
«Ho bisogno di qualcuno che badi a lui mentre sono a lavoro, suo padre è occupato con l'officina e la vicina troppo vecchia...» sbuffa, guarda il soffitto.
«Mio padre era tanto orgoglioso di te» ingoia un groppo amaro.
Nessuno decede se vive nel cuore di chi resta. Era un uomo incredibile, un bravo padre ed un grande maestro. Ha sempre visto del potenziale, mi ha sempre incoraggiato ad essere diverso, a combattere.
''Non sei tuo padre Ares, puoi fare grandi cose fuori da questo posto di merda''
Annienta, non farti annientare.
Puoi restare in piedi e fingere, ma se soffri un motivo ci sarà.
Ho lacerato ogni pezzetto di gioia, perso una parte della mia infanzia e della mia gioventù. La notizia della sua morte fu devastante, il ring sembrò una gabbia da cui uscire e la vittoria una liberazione.
Piansi come non avevo mai fatto.
Lì dove tutto era iniziato, in quel quadrato di corde logore e fiati smozzati.
«Avresti dovuto vedere il sorriso alla tua prima vittoria» dice.
Se si potesse tornare indietro.
Una vita di rimpianti e piante rampicanti, appiccicate alle stesse pareti e alle stesse emozioni. E se bastano un paio di guantoni per celare la frustrazione, la collera e l'ira che provo, allora lo farò.
Nasco pugile e morirò da tale.#spazioautrice
Buona Festa delle Donne a tutte voi!🦋
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The Boxer's Clan.
ChickLit🔞 Questa storia contiene: violenza, linguaggio scurrile e uso di stupefacenti. E se dalle scelte derivassero i problemi e le conseguenze di un'intera comunità? E se gli accordi con i soci saltassero da un momento all'altro? Tyson Ville non ha mai g...