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Jordan

Sorrido alla bambina, mentre scompare all'interno dell'istituto. Parlotta con delle amiche e saluta con la manina. Il tribunale erge maestoso accanto al Fredrick Park, il caffè all'angolo è affollato di giovani avvocati e imprenditori. Sostengo i sacchetti con entrambe le mani e sbircio le varie t-shirt comprate. Ho accettato la proposta di Gareth, per qualche giorno me ne starò buono. Mi occuperò delle varie mansioni da svolgere a casa: acquistare un divano, sistemare il tetto e potare la sequoia nel giardinetto sul retro. Tutto quello che farebbe una persona normale. Chiederò ad Altea di trascorrere questi pochi giorni in mia compagnia, di restare con me quando i ricordi riaffioreranno e i demoni verranno a trovarmi.
«Qual è il lago più vicino?» chiede la riccia al biondo, il moro si gratta il braccio e scuote il capo.
«Ci sono dei fiumi lungo i boschi, non ho mai visto laghi da queste parti» dichiara, passa un braccio sulle spalle di Danika e si avvicina a me. C'è qualcosa che non mi ha detto, il sorriso costante sulle labbra e gli occhi lucidi sono la conferma. Attenderò una sua confessione, non voglio molestarlo con domande troppo invadenti.
«Chi vuole associarsi per un caffè?» reclama Travis, declino affettuosamente e mi dirigo verso l'auto. Controllo l'ora sul polso, sono le sedici e trentanove di un lungo ed estenuante pomeriggio.
«Non dimenticate di prelevare Isabel» guardo male mia sorella, non capiterà di nuovo.
«Non guardarmi in quel modo! È successo una volta sola...» incrocia le braccia al petto.
«Due» puntualizza Tyron.
«Dio te bendiga!» espongo.
«Siete stupidi, Travis vieni con me!» strombazza offesa, afferra con veemenza il suo braccio e cammina spedita. Il moro alza gli occhi al cielo, li segue tranquillo con le mani in tasca.
Ripongo gli acquisti nei sedili sul retro e guido fino alla residenza della Curatrice. Il modo in cui questa donna si è insinuata nella mia vita, il modo in cui ha squassato i miei organi e li ha resi poltiglia. Il modo in cui mi ha fatto credere di poter essere normale e di poter sognare un futuro. Ogni venatura, ogni lembo di pelle, ogni sfumatura è impressa dentro di me. Il sorriso perfetto, le rughette ai lati della bocca, gli occhi limpidi e ingenui. Altea mi ha fatto comprendere che non serve avere denaro per essere felice, non basta essere figlia dell'avvocato più rinomato del paese per avere successo. Compio un sorpasso sulla destra, oltrepasso il dipinto e sorrido.
«Voglio quella, precisamente quella!» ho ripetuto al ragazzo davanti a me. È stata una scelta azzardata, ma la migliore che potessi compiere. Un piccolo pezzetto di lei resterà sempre, se dovessi perderla, se dovessi lasciarla andare.
Arrivo nel nuovo quartiere e comprendo di essere vicino al Confine, due svolti a destra, quattro a sinistra ed il capannone si innalza imponente. Accosto l'auto accanto all'ingresso principale, estraggo un piccolo cofanetto e lo ripongo nella tasca posteriore. Indosso il giubbotto e spingo l'indice sul campanello.
Voglio accarezzare subito la pelle vellutata, accostare la sua fronte alla mia.

«Leopold è un bravo coinquilino!»
Volto di scatto la testa.
Stringo forte i pugni lungo le braccia, aggrotto le sopracciglia. Il riccio gli sta accanto, cammina come un granchio per osservarla meglio. Lei si scosta una ciocca di capelli ed abbassa lo sguardo sul cemento, abbozza un sorriso leggero e impugna il laccio. Mordo l'interno della guancia.
È troppo occupata per accorgersi di me.
Cosa l'ha distratta? Occhi azzurri e riccioli d'oro.
Una lama penetra nel petto, cosciente della situazione. Il dolore brucia come benzina sul fuoco. Mi volto verso di loro, una scintilla maliziosa vagheggia nello sguardo dell'uomo. Vorrei sfoderare la Glock e puntarla sul cavallo dei pantaloni, sarebbe difesa personale?
Lei è di mia proprietà, una mia priorità.
«Jordan...» si muove velocemente verso di me.
I capelli penzolanti sulle spalle, i jeans fasciano perfettamente le curve sinuose, la maglietta lascia scoperto un lembo di pelle. Drigno i denti e respiro affannosamente. La scollatura mostra il solco profondo dei seni, non resisto alla tentazione. Rimastico la notte in cui siamo stati insieme, gli ansimi e le confessioni. Circonda l'addome con le esili braccia, la vaniglia e il cioccolato s'insinuano nelle narici. Stringe forte l'appiglio sulla felpa, dischiudo gli occhi e m'inebrio della sua essenza. La collera s'assottiglia, si restringe attorno alle membra e scompare nel momento in cui poggia le labbra sulla guancia.
Soffici, delicate e dolci.
Il fastidio che Altea possa avvertire un sentimento per uno qualsiasi, fa brontolare minacciosamente la bestia che risiede all'interno di me. Il ragazzo analizza la situazione, l'insuccesso è evidente. Tuttavia, insiste nel restare immobile, disarmato.
«Ti sei concesso una vacanza?» parla. Altea è assorta nell'iride scura, io smarrito fra l'incavo del collo e le scapole. Carezza la t-shirt bianca e sorride contenta di vedermi.
Annuisco.
«Alla fine ci sono riusciti...» espone. Il micio introduce la coda fra i polpacci, graffia le scarpe e stropiccia i calzoncini. Reclino il capo e mi chino per vezzeggiare il pelo scuro.
«Sei Jordan Jones?» esige un riscontro, la voce smorta e il tono infastidito. Esamino superficialmente la massa dei muscoli e l'altezza, chiaramente più esiguo e basso del sottoscritto.
«Ares Jones» preciso, non smetto di ruzzare con l'animale, tasto il musino e i lunghi baffetti.
«Tu sei?»
«Lowell...»
«Lowell come?» sottraggo il collare e tasto le dita, noto un dettaglio che non avevo mai veduto: unghie laccate di nero. Aggrotto le sopracciglia, spaesato.
«Lowell Ferna...» frena le parole. Le gote si colorano di rosso, percorre una mano fra i riccioli d'oro. Assottiglio lo sguardo, la striatura sul collo s'ingrossa, strofina le dita nervosamente e riprende fiato con calma.
Non mi convince, dove l'ho già visto?
«Puoi lasciare tutto qui» proferisce Altea, cordiale nei modi.
«Ti accompagno» insiste, troppo.
«Tranquil...» cerca di rifiutare.
«Davvero, posso accompagnarti. Sono arrivato fin qui, non ho probl...» cesso ogni tipo di conversazione.
«Ci sono io adesso Lee...Leo...Louis o come diavolo ti chiami!» ringhio.
Sottraggo i sacchetti dalle mani e li sorreggo con forza. Procedo velocemente verso l'androne, percepisco delle scuse da parte della ragazza, il biondo ridacchia e volta le spalle per andare via.
«Voleva solo essere gentile!» rimprovera, slaccia la pettorina e si rifugia in cucina. Sistemo il contenuto sul ripiano, i raggi ponderano sulla poltrona, la biblioteca è ricca di libri e il computer poggiato sul tavolinetto. I colori dell'arredamento rispecchiano perfettamente la sua raffinatezza.
«Non voleva essere gentile, voleva azzannarti come ho fatto io la prima volta che ti ho vista» brontolo.
«Ci siamo visti solo due volte, non puoi dire sul serio Jordan!» esclama, lega i capelli in una coda bassa e arrossisce poiché non smetto di fissare la pelle nuda. In questo momento potrebbe dire qualsiasi cosa, sono irremovibile.
È semplicemente stupenda nelle sue fottute imperfezioni.
Non voglio supporre ad altre mani sul suo corpo, non posso credere che abbia avuto altri uomini oltre me. Ricordo la scatola nascosta nei pantaloni e la tiro fuori, piccola in confronto al mio palmo.
«Vieni...» lecco il labbro e mordicchio piano quello inferiore.
«Questo è per te» poggio l'oggetto sul tavolo.
Un bagliore lucente attraversa le iridi, incontra i miei occhi e mostra le rughette ai lati della bocca. Ho attraversato tutta la città per cercare qualcosa che la rappresentasse, niente di più vero di una leggera farfallina. La libertà, il desiderio di evadere e di viaggiare in mondi sconosciuti e lontani. Infila il cerchietto all'anulare e ride, scuote il capo rassegnata.
«Mi farai impazzire Jordan Ares Jones!» calca sul secondo nome, punta l'indice sul petto. Strattono l'avambraccio e batte sul petto, più di mille parole. Altea vale più di tutti i soldi che posseggo, più di una Maserati, più di una Villa in centro.
Ho bisogno di lei accanto per sentirmi vivo.
«Io sono già pazzo di te Altea Mavis, completamente perso!»







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