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Jordan

I raggi che filtrano dal tettuccio, gli uccellini cinguettano. Non ho mai trascorso la notte in un campo di grano, non ho mai dormito in altre braccia così simili a quelle di Isa. Profumano di casa e ingenuità. Pare una bambina vista da questa prospettiva, le gote arrossate e le ciglia folte. Una leggera spolverata di lentiggini sul nasino, le labbra schiuse e le mani sul grembo. I seni scoperti e la salvietta da palestra sulle gambe. È stata la prima cosa che ho acciuffato dal borsone per coprire entrambi. Osservo la pelle scoperta del bacino, la rappresentazione delle ali risalta perfettamente l'epidermide diafana. Muove il capo, stira i muscoli intorpiditi, stropiccia gli occhietti e sbadiglia. Emette un miagolio, ricorda vagamente il gatto grasso che vive in casa sua.
Inclino la testa verso il bracciolo, contempla il mio volto dal basso.
«Non guardarmi mentre dormo» mormora contro il petto.
Bacio la fronte morbida, attorciglio i capelli con dolcezza.
«Non stavo guardando te...» dico, colto in flagrante.
«Non mentire!» schiaffeggia il bicipite gonfio.
«Potresti chiudere?» allunga l'avambraccio verso la capote, incastro le falangi nelle sue. Sospese sulle nostre teste, giochiamo con i fasci lievi. Siamo troppo coinvolti per staccarci. Ridacchia e sussulta notevolmente, sono gelido ma sento il calore irradiarmi dentro.
«Oggi è il ventuno dicembre, fra tre giorni è la Vigilia di Natale» dice.
Rammento il pacchetto nascosto sotto il tavolo da pranzo: Rapunzel per Izy e Barbie per Kyla. Trav continua a ripetere che ne ha fin troppi di giocattoli, ma come posso resistere?
L'ho vista piangere fra le braccia della madre e ridere in quelle del fratello. Nutro un forte senso del dovere, ho bisogno di tutelarla.
Domani è il giorno, quel giorno.
Recupero il cellulare e pigio il tasto laterale, diciotto chiamate perse da quest'ultimo e undici da Ezra. Una brutta sensazione mi pervade, controllo i messaggi inviati da Tyron.

Cosa è successo? Perché sei scappato?
Mi stai spaventando...
È tardi, ti aspetto fuori casa.
Ezra sta venendo a cercarti, sono le tre del mattino coglione!
Vieni al Confine.

Leggo più volte, l'ora segna le cinque di questa mattina. Provo a rispondere, ma il segnale è spento. Cosa è successo? Scatto vigile e colpisco il vetro con la guancia.
«Mio Dio! Que dolor!» impugno la parte dolorante, evito di imprecare ulteriormente.
Non l'ho mai vista ridere così tanto.
«Sei proprio uno stupido!» esclama, se ne infischia della parte arrossata. Si infila il vestito dalla testa e indossa gli stivaletti corti, resto immobile troppo impegnato a crogiolarmi.
«E tu dovresti essere un pugile? La bestia feroce?» chiede retorica, si dimena. Scalpita contro il cruscotto immacolato, mi deride. Gioca con la mia professione. Colpisce la spalla di getto, spontanea.
«Non mi prendevi in giro questa notte però...eh piccola Curatrice?» azzanno le labbra, succhio la parte interna. Lamenta la tortura più bella che ci sia, sfrega il fianco destro e casco con il gomito sul cambio manuale. Trattiene le lacrime, arriccio le labbra.
«Ho una fame da lupo!» dimentico la scenata della sera precedente, inserisco la testa all'interno della t-shirt. Raccatto le cose velocemente e risiedo sul sedile anteriore. La sento sospirare, estrae una cicca dal pacchetto. È tesa come una corda di violino, accarezzo il retro del collo con dolcezza. Non ho fretta, posso attendere. Mi rendo conto di come sono cambiate le cose da quando Altea è entrata nella mia vita: la pazienza. Non ero una persona così remissiva e clemente, sono sempre stato poco tollerante. Prelevo delle caramelle dal cruscotto, ne poggio una sulla lingua. Il sapore dolciastro della fragola entra in collisione con quello del tabacco, forte e intenso. Socchiudo gli occhi, emetto un gemito di piacere.
«Posso?» chiede, cedo la scatolina. Deglutisce più volte prima di ingerire, trema. Il cellulare lampeggia il nome del mio migliore amico, s'illumina per alcuni secondi. Afferro l'aggeggio, la batteria cede. Al Confine, devono essere tutti lì.
«Devo andare...» dico.
«Ma tu vieni con me»

*

Il posto è completamente deserto, la strada è accuratamente sterrata. Le auto dei Los Salvadores non sono parcheggiate nel solito piazzale. La porta sul retro è serrata con un'asta di legno spessa quanto un tronco d'albero, l'unico accesso consentito è il passaggio fra le lastre metalliche. Scorgo la moto di Yuri fra gli arbusti, uno spiraglio di luce artificiale fuoriesce dalle piastrelle malridotte del capanno. Temporeggio nel sostare accanto alla mustang del biondo, il rosso della carrozzeria violenta le iridi. Sorrido istintivamente, considero la singolarità di tale personaggio, perché infondo, è proprio questo il motivo. Travis Wood non ha bisogno di essere esposto o mostrato, lui sa come lodare se stesso. Siamo molto diversi, eppure non abbiamo mai polemizzato sul suo egocentrismo.
«Sicuro? Non voglio essere di troppo Jay...» distendo le falangi sul volante, pigio sul clacson più volte. Echeggia assordante, il primo a comparire è Tay. Passo lento e sguardo truce, solleva il medio contro lo sportello. Alza le braccia muscolose e sbraita, punta contro la baracca. Diminuisce la distanza, spalanca la portiera con uno strattone. Urla e pompa , gonfia il torace e respira profondamente. I diamanti luccicano, la catenina oscilla verso il terriccio. Fissa la donna al mio fianco, mostra i denti e torna su di me.
Aggrotto la fronte per il cambio inaspettato dell'umore.
«Non lasciarmi mai più da solo come uno stupido!» preme sui sensi di colpa, discendo e tossisco. Altea guarda di sottecchi il punto in cui siamo, ammira la selva e inumidisce le labbra. Questo non è adatto a lei, ma si uniforma perfettamente al contesto. Il moro l'afferra per il braccio sinistro ed esibisce un po' il nostro essere, racconta aneddoti divertenti riguardo i giovani del gruppo, eleva la figura di Gareth e quella di Bullet. Menziona il rapporto profondo che posseggo con Ezra, nel momento in cui quest'ultimo sbuca dall'auto di suo padre. I calzoni cadono sui fianchi snelli, la maglietta nera sulle spalle e le cuffie nelle orecchie. Ha lo sguardo assolto nel vuoto, cammina pigramente e trascina i piedi sul suolo. Robbie riprende l'atteggiamento, gli stampa una sberla e vocifera qualcosa. Mi acciglio visibilmente, procedo verso il ragazzino e circondo la figura. Pronto a salvare il cucciolo ferito.
«Cosa è successo?» ometto la presenza di Altea, torno ad essere El Salvadores. Intervengo con tono rigido, gelido e severo. Dilato le narici e mordicchio l'interno della guancia. Trattengo il fiato, alzo lentamente lo sguardo.
«Questo ragazzino mi farà diventare matto! Il manicomio sarà la prossima meta...lo giuro!» cammina innanzi alla vettura, s'orienta verso il casotto.
«Ci rinuncio! Dillo a lui quello che hai detto a me!» esclama e sparisce oltre l'imbocco, furente in viso. Attendo una sentenza, siedo sulla gomma nera e incrocio le braccia al petto. Rilevo il sorriso sereno della donna e quello divertito del moro, la stazza di Ty incombe su quella di Altea.
«Credi nel Karma?» la voce percuote l'attenzione, analizza il cielo. Focalizzo la visuale sul naso dritto e sul mento. Non c'è luce, dentro di lui aleggia un grigio e tenebroso panorama. So cosa si prova, non si torna indietro.
«Da quando ho ucciso quell'uomo non ho fatto altro che pensare alla pozza di sangue in cui è caduto, gli incubi hanno iniziato a divorarmi. La morte di Jason è stata la punta dell'iceberg, sono morto con lui. Lo penso sul serio, Salvadores. Sta andando tutto a puttane e credo di meritare tutto questo male...» asserisce.
«Cavolo se lo credo...sto soffrendo come un cane» dice, tortura le braccia tatuate.
«Voglio andare via...» dichiara, ingoia il groppo amaro.
«TysonVille non è più il luogo adatto a me... voglio dedicarmi alla musica» farnetica. Dovrei essere adirato, invece sono sollevato. Non gli avrei affidato l'autorità sul clan, ho sempre avuto aspirazioni più grandi per lui. Prenoterò un viaggio solo andata per un nuovo inizio, una vergine esistenza. Un'opportunità per cominciare a credere in sé, merita una vita all'altezza dei sogni che ha. Non ho evitato la morte di Skip, ma scongiuro Dio per essere assolto dai miei peccati. Un supplizio morale, intenso e tormentoso. Riaffiora il momento in cui gli ho puntato la revolver alla testa. La fratellanza è stata schiacciata dalla paura di essere scoperto, dalla sete di potere. Non perdonerò me stesso per ciò che ho fatto in passato, ma posso migliorare per un futuro sprovvisto di delitti. Teme per un verdetto affrettato ed è preoccupato per ciò che potrei proclamare. Strofino il palmo sulla zucca vuota, batto più volte.
«Quando tuo padre ti ha portato qui la prima volta avevi quattordici anni, forse tredici. Mi hai guardato negli occhi e hai detto...»

The Boxer's Clan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora