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Altea

Il trucco colato e le labbra secche, sciacquo il viso con acqua tiepida e strofino la salvietta sulle palpebre. Applico una crema sulle guance e raccolgo i capelli in una coda alta. Socchiudo la porta e torno in cucina, il bagliore della luna filtra dalla grande finestra. La televisione trasmette, come al solito, un programma di cucina. Agguanto il cibo di Leo dalla credenza, sguscia dalla camera da letto e gratta sui miei pantaloni. Carezzo un po' le orecchie e mi dirigo al tavolo in vetro. Schiudo il portatile ed accedo alla solita scheda di lavoro, ci sono caratteri da correggere ed errori da eliminare. Nonostante la felicità di questi giorni non posso rimandare il dovere, il contratto è stato rinnovato per i prossimi quattro mesi. Ho rilevato sul viso di Jay una serie di espressioni poco tangibili, pupille cariche di autocontrollo. Ha notato le lacrime nel momento in cui ha sostato sul ciglio della strada. Gli avrei afferrato le scapole, accostato il corpo al mio e soffocato con le braccia. Non sono mai stata una ragazza spavalda, la sfrontatezza non è nelle mie grazie, eppure avrei voluto. Torno sul divano, appoggio la testa sul guanciale e fisso inerme il soffitto. Non mi sono mai sentita così viva in ventidue anni, amata e apprezzata. Nessuno mi ha mai guardato nel modo in cui fa Jordan, analizza il mio comportamento e comprende a pieno il significato. È spontaneo, naturale e sincero. Non ha bisogno di filtri, spiazza sempre. Ricordo la prima volta che l'ho notato, avevo sedici anni e lo zaino sulle spalle. Le treccine pendevano sulle orecchie, era basso e meno muscoloso di adesso, tuttavia pensai che fosse il più bello di tutti. Spintonava i suoi compagni e tirava via i giubbotti dalle loro teste, sghignazzava e mostrava la lingua. Quel giorno sorrisi, sorrisi di gusto dopo alcuni anni dalla morte di mia madre. Promisi a me stessa di ritrovare quel ragazzo e, in conclusione, è apparso senza sforzi. Quella notte, al club, il mio cuore è tornato a battere. Quella notte ho capito quanto valessi agli occhi di un uomo.

''Stai scappando perché hai paura di me?'' ghigna.
''Io non ho paura di te e nemmeno di quelli che ti porti dietro'' dico.

''Attenta a come parli, potrei dire a tuo padre di averti vista in compagnia di persone poco raccomandate'' minaccia.
''Non osare, non sono questioni che ti riguardano'' mi rendo conto di essere troppo vicina quando il naso sfiora il mio. Reagisco d'impulso poggiando la mano destra sul corpo. Sono spoglia di qualsiasi indumento.
Sotto i riflettori ci siamo solo noi.
Io spaventosamente scombussolata, lui più bello di come lo ricordavo.
Le treccine gli pendono ai lati della fronte mentre le altre sono racchiuse sul retro del capo, i jeans rovinati gli donano un'aria disordinata e trascurata, la felpa blocca qualsiasi fantasia sulle braccia tatuate. La bocca polposa è chiusa in una linea sottile, dura. Le sopracciglia aggrottate fanno capire che non è contento del mio gesto, non sopporta il contatto fisico con altri.
Stringe con forza i pugni.
''Oseresti?''chiedo.

Non l'ha fatto. Non ha mai parlato con mio padre, ha finto di non conoscermi quella mattina in tribunale. Il modo in cui continuava a guardarmi in modo intimo e segreto, rammentava vagamente la prima volta che ci siamo sfiorati realmente. Percepisco, ancora, il respiro caldo sulla guancia e i polpastrelli pressati sulla pelle.

Il naso a pochi centimetri dal mio, le labbra si accarezzano senza toccarsi del tutto.
Il palmo all'altezza del cuore e l'altro sull'avambraccio.
''Smettila'' sussurro, serro gli occhi nel momento in cui il calore irradia i nostri corpi. Le bocche entrano in collisione in modo violento. Trasalisco, agitata. Morde il mio labbro inferiore, scende lungo il collo assaggiando con la lingua ogni centimetro di esso. Palpa il sedere con veemenza, poggia la schiena lungo il muro.
Siamo così vicini da sembrare un'unica persona, in sottofondo i gemiti soffocati fanno da colonna sonora.

The Boxer's Clan.Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora