1

1.9K 50 16
                                    

Never gonna get me out alive
Bones, Imagine Dragons

Una prima impressione è solo questa,
una prima impressione.
Ma se si ha il tempo di giudicare
un libro dalla copertina,
si avrà certamente il tempo per concedere una
seconda occhiata, e chissà, magari trovare
qualcosa per cui, a conti fatti,
valga la pena di restare su quelle pagine.

 Ma se si ha il tempo di giudicare un libro dalla copertina,si avrà certamente il tempo per concedere unaseconda occhiata, e chissà, magari trovarequalcosa per cui, a conti fatti,valga la pena di restare su quelle pagine

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

PETER

Sbuffo come un toro forsennato quando un ragazzetto mi viene addosso per scorrazzare libero dentro l'aeroporto. Quello casca con il culo per terra e si mette a piangere dopo avermi guardato in faccia per mezzo secondo. Dove diavolo stanno i genitori quando accadono cose del genere?

Tiro fuori la mano dalla tasca dei jeans e l'allungo verso il marmocchio per aiutarlo a rimettersi in piedi. Da vero ingrato quello si mette a strillare più forte, se può, facendomi girare le scatole.

«Marcus! Marcus, amore della mamma, cosa ci fai seduto a terra? Oh, guarda come ti sei conciato i pantaloni in velluto!» Sollevo lo sguardo verso una giovane donna che corre nella nostra direzione come una pazza mentre alcune ciocche sfuggono all'elegante acconciatura, finendole sugli occhi.

Il marmocchio, notandola, le va incontro. La donna si china e si affretta a dargli una sistemata ai vestiti stropicciati.

Osservo la scena con indifferenza, fingendo di non notare la somiglianza di quella signora con mia madre –una somiglianza oserei dire brutale, da farmi accapponare la pelle e stringere le labbra in una linea dura.

«Mi scuso per...», le parole gli muoiono in bocca quando punta gli occhi azzurri sul sottoscritto; l'ostilità calpesta la gentilezza di un attimo prima.

Non rimango fermo a guardarla stringere più forte il marmocchio a sé con fare protettivo o a farmi valutare ulteriormente in maniera negativa, invece m'incammino verso l'uscita. Ignoro le ossa farsi di ghiaccio e tiro fuori il portafoglio per farmi due conti. Perlustro la fila dei taxi londinesi –neri, appena lucidati, e pronti a partire–parcheggiati dirimpetto l'aeroporto, ma una seconda occhiata al portafoglio mi spinge a dirigermi verso un bus.

«Merda!» Sollevo il piede solo per guardare la merda di cane che ho calpestato, nascosta dalla spessa neve che continua a cadere in abbondanza.

Sotto lo sguardo seccato del guidatore provo a strisciare la suola contro il marciapiede per togliere quello schifo da sotto, ma vista l'ora tarda (dovuta anche a un ritardo dell'aereo) salto su e pago il biglietto.

Mi accascio sul sedile in fondo, e occupo il posto accanto con il borsone. Mi sistemo il capello sulla testa e chiudo gli occhi, infischiandomene del panorama innevato che riveste Londra come un manto bianco. Sono esausto. Voglio solo dormire.

***

«È in ritardo, signor Carver», si lamenta il tipo dell'appuntamento, picchiettando con l'indice l'orologio al polso per evidenziare il suo malumore. «Mezz'ora di ritardo: stavo per andarmene.»

Lancio un'occhiata di sbieco ai capelli unti, legati in un codino alla Vincent Vega, e alla pancia che viene fuori dalla maglia scolorita di almeno due taglie più piccole.

«Il mio aereo ha avuto un ritardo di quindici minuti e l'ultima fermata del bus era a due chilometri da qui.» Detesto dovermi giustificare, ma temo che non la prenderebbe bene se calpestassi la sua predica, mettendogli così fretta per vedere l'appartamento. Perciò sto al suo gioco. Mi serve un tetto sopra la testa entro stasera.

Il panzone continua a lamentarsi: «Il suo amico non le ha accennato che sono un uomo che ama la puntualità?» Ricaccio in fondo alla gola il commento scortese che stava per uscirmi, senza, tuttavia, riuscire a trattenere un'osservazione altrettanto becera.

«Era troppo sballato per ricordarsene.» Lo so, ho bisogno di lavorarci sopra.

Devo un favore a William, uno dei tossici (o almeno è così che mio nonno li definiva) con cui mi sono fatto le canne per diversi anni. Quando gli ho parlato del mio piano di partire con i pochi soldi che mi erano rimasti in tasca (mi sono rifiutato di prendere un solo centesimo dal nuovo compagno di mia madre, ricco sfondato come era solita accaparrarseli) lui mi ha dato una mano passandomi il contatto di questo tizio.

Quello va avanti con la lagna: «Non si dimentichi che è solo per fare un favore al suo amico che mi sono impegnato per trovarle un appartamento libero, signor Carver».

Sbircio l'ora e riprendo il borsone tra le mani: «Questa sua cantilena andrà avanti per le lunghe? Perché vede, ci sono altre cose che vorrei sbrigare prima che si faccia notte.»

«Se non fosse per il suo amico...»

«Lei si ritroverebbe senza soldi», concludo per lui la frase. Sono privo di pazienza. «L'amico che abbiamo in comune mi ha accennato ai diversi appartamenti vuoti che non riesce a riempire, e alla sua situazione economica. Le servono soldi, signor Martin, e a me serve un posto dove stare. Se esco da quella porta, cosa che sto per fare, anche quello che sarebbe stato il suo profitto se ne viene via insieme a me.»

L'espressione sbigottita viene presto sostituita da una rassegnata. Il proprietario si tira giù la maglia per nascondere la pancia, ma poi fa l'errore di sollevare le braccia per sistemarsi indietro i capelli unti, e quella se ne riviene di nuovo su.

«Mi segua, le mostro l'appartamento» dice secco. Svolto l'angolo e mi fermo di fronte un ascensore malridotto, ma l'uomo tozzo in questione mi indica con un cenno della testa le scale. «Quel dannato ascensore trasporta due persone alla volta. Io peso tre volte lei» replica, battendosi una mano contro la pancia come fosse un tamburo. «Gli altri condomini preferiscono prendere le scale, e lo consiglio vivamente pure a lei se non vuole rimanere bloccato in quell'aggeggio usurato», va avanti con la spiegazione intanto che sale i gradini con una lentezza esasperante. Sono tentato di poggiargli le mani sulla schiena e spingerlo, così da fargli fretta, ma il sudore che macchia la sua t-shirt rossa (forse un tempo, adesso è più un rosa sbiadito) è sufficiente a convincermi a fare un gradino alla volta, le mani ben incollate alla tracolla del borsone.

Mi chiedo come faccia a sudare con -4 °C

«Eccoci arrivati: quarto e ultimo piano» esala, piegandosi per riprendere fiato.

Posso ritenermi già soddisfatto per essere all'ultimo piano e non avere dannati vicini che fanno rumore sopra la mia testa.

«Lei vivrebbe al 14B. La porta alla sua destra», mi indica uno dei due portoni verde oliva e mi fa entrare.

Come mi aspettavo: un posto squallido che affaccia sul retro di un cartellone pubblicitario.

«Lo prendo.»

Le parole del proprietario, una ripetizione a tutta birra sull'unico beneficio di questo appartamento, e cioè l'assenza di muffa (non so come sia possibile visto le condizioni di questo posto) si arrestano di colpo. «Non vuole sapere altro sul posto o sui condomini che ci abitano? Spesso le persone si interessano ai loro vicini, così da sapere cosa aspettarsi o per favorire un approccio positivo.»

Scorgo in lontananza la punta di quello che dovrebbe essere il Big Ben e mi volto verso di lui. «Non mi interessa fare la conoscenza degli altri condomini, ma se vuole può rassicurarli lei dicendo che sono un tipo silenzioso e che non salterò sulle loro teste solo per il gusto di divertirmi.»

Lui rimane interdetto per qualche secondo prima di annuire titubante. «Farò così allora.»

«Il mio amico ha parlato anche di una lavanderia condominiale.»

«Esatto. C'era già quando ho acquistato il posto. Lavatrice e asciugatrice vanno a gettoni», fa una pausa prima di azzardare a chiedermi da dove provengo visto il mio accento.

«Da un posto che va soltanto dimenticato.»

In Amore Non RisparmioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora