27

534 23 13
                                    

My mind's like a deadly disease
Control, Halsey

 My mind's like a deadly disease ⎯Control, Halsey

Oops! Questa immagine non segue le nostre linee guida sui contenuti. Per continuare la pubblicazione, provare a rimuoverlo o caricare un altro.

PETER

«Smettila, dannazione, finirai per ammazzarlo!»

«Che male ci sarebbe? Se non sa comportarsi perché lasciargli il privilegio di vivere, dico io.» Mio nonno si rialzò da sopra di me con la bava raccolta agli angoli della bocca e il respiro che faticava a regolarizzarsi. Aveva il volto rubicondo rivolto al cielo plumbeo, le gocce di pioggia gli rinfrescarono la fronte e le guance madide di sudore, inzuppandogli la canotta grigia, precipitando sui pugni stretti e mischiandosi con il sangue rappreso sulle nocche sbucciate. «Non sei d'accordo con me, Peter?»

Non risposi, ero troppo occupato a rovesciarmi da un lato per non rischiare di soffocare con il mio stesso sangue; i rivoli mi colavano lungo il mento, lo sentii colarmi a picco in gola. Le dita penetrarono la terra sotto di me quando serrai le mani, l'unica reazione che il corpo mi concedeva in quel momento.

Io aprii la bocca per inspirare ma entrò solo aria calda e umida che smosse il mio stomaco e fui scosso da un conato. Ogni respiro era una scossa violenta di dolore al costato e fui certo mi avesse ammaccato un paio di costole.

Ancora una volta l'avevo fatto incazzare.

Ancora una volta non ne conoscevo il motivo.

Ancora una volta mi aveva pestato fino a ridurmi a un ammasso di guaiti e lesioni che una volta cicatrizzati avrebbero fatto parte di me per il resto della vita –sempre se non mi avesse ucciso prima. Non ero certo sarei arrivato alla fine dell'anno vivo. Le aggressioni stavano diventando più frequenti e brutali.

Ero diventato dell'altezza giusta da assomigliare a un sacco da boxe, non ne sarei rimasto sorpreso se un giorno o l'altro mi avesse appeso sulla trave, giù in cantina, e mi avesse preso a calci e pugni per tutto il giorno.

Aveva ragione lui, ero un debole.

«Per favore papà, cerca di ragionare. Non faremo che creare chiacchiere nel vicinato una volta che lo vedranno indossare la felpa in pieno agosto.» Riuscì a sollevare un occhio, l'altro era conciato troppo male perché riuscissi anche solo a muoverlo, e guardai in tralice mia madre che si era precipitata in giardino attirata dalle urla imbestialite di suo padre.

Restò sotto la pensilina senza neanche arrischiarsi di sporcarsi quegli orrendi sandali, troppo costosi, sulla terra che la pioggia battente aveva trasformato in fanghiglia; non contavo abbastanza neanche per scacciare via da quella faccia rifatta gli occhiali da sole che portava regolarmente dentro casa.

Avevo iniziato a detestarla perché ogni volta che correva non era mai per me, ma per proteggere la facciata che aveva creato per lei e per questa famiglia. Era ossessionata dalle apparenze. Ero arrivato al punto di convincermi che mi avesse tenuto solo perché l'aspetto di madre le piacesse troppo, anzi la aiutava a ricevere maggiori complimenti sul suo tenore di vita.

In Amore Non RisparmioDove le storie prendono vita. Scoprilo ora