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So close ⎯obsessed, zandros&Limi

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SELENE

«Uhm.» Porto una mano al collo, piegato in una strana angolazione, e premo i polpastrelli per mandare via il senso di intorpidimento mentre nei miei occhi si abbatte un fiotto di luce che mi fa maledire le belle giornate. «Oh, la mia testa» gracchio, facendo una smorfia al suono rauco della mia voce.

Ancora sotto lo stato di trance mi rigiro su un fianco e affondo la faccia sul cuscino bitorzoluto, inspirando l'odore muschiato di cui è impregnato; inspiro fino a sentire bruciare i polmoni, incapace di capire se si tratta o meno di un profumo a me familiare. È buono però.

Poi, prima che possa riaprire gli occhi, gli eventi della sera prima mi affollano la testa dolorante, appesantendomela solo di più al ricordo delle nuove informazioni che sto meccanicamente registrando come piccoli flashback sparpagliati nella corteccia cerebrale, che non vedono l'ora di farsi notare da me. Apro gli occhi. Lentamente. Li richiudo tenendo fede allo stesso ritmo.

E finalmente trovo il coraggio di tenere le palpebre aperte, così da notare che la camera in cui mi trovo non è la mia, nonostante il soffitto con le increspature simili e il colore ormai indefinito delle pareti uguale a quella in cui vivo io.

Mi porto una mano al cuore per costringere le palpitazioni fuori controllo a ritornare stabili ma quello rischia di schizzarmi fuori dal petto quando la mano mi finisce sul mio sul mio seno sinistro.

Con una punta di panico a bucarmi lo stomaco dirotto la mia attenzione alla T-shirt grigia con lo scollo a V da uomo che indosso, così larga che il seno si è riversato fuori. Mi affaccendo per coprirlo quanto possibile con la maglia, lottando con le vertigini di chi ha fatto un casino la sera prima, bevendo come non credevo di poter fare. Oh Signore, se mi vedesse Charlotte non esiterebbe a rinfacciarmelo per i prossimi due anni, usando questo episodio come strumento per uscire vittoriosa dalle mie prediche sul bere eccessivamente.

Mi do della stupida mentre tiro la trapunta fin sopra al naso, osservando la piccola stanza con circospezione, concentrando il mio disagio sui tre mobili che circondano il letto, resistendo all'impulso di buttare l'occhio al di là della porta socchiusa dove so che si trova lui.

L'ombra di un ricordo mi stana anche lì, al sicuro sotto le calde coperte, non appena adocchio i miei tacchi a spillo, posizionati accuratamente in un angolo tra la cassettiera e l'armadio a due ante.

«Toglimi di dosso queste manacce» dichiaro tassativa, o almeno ci tento dato il mio attuale stato fisico, premendo i palmi contro le ampie spalle di Peter solo per spintonarlo indietro. Lo voglio lontano, il mio cuore non reggerebbe un solo minuto in più questo suo calore, capace di raggiungere persino le pieghe della mia intimità. Non sono abbastanza lucida per domare la mia fantasia impertinente, che in questo momento vuole solo continuare, con la disperazione di un tossicodipendente, ciò che è stato iniziato in discoteca.

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