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And God knows, I'm not dying but I bleed now ⎯ My Blood, Ellie Goulding

And God knows, I'm not dying but I bleed now ⎯ My Blood, Ellie Goulding

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SELENE

«Con questo abbiamo concluso» commento dando un'ultima spinta al tavolo che sfiora la parete in pietra. Batto il cinque a Trevor, che corre a preparare un caffè. Io faccio per recuperare il telefono dalla borsa, ma Harry mi ferma per ringraziarmi di essere venuta qui alle prime luci dell'alba solo per svuotare il locale. Poi fa lo stesso anche con il mio amico.

Azzardo un commento: «Non sarebbe stato meglio darsi ai lavori durante la settimana anziché occupare il weekend?»

«Lo penso anche io: sai che guadagniamo il doppio durante il fine settimana» conferma Trevor passandomi una tazza fumante. Mi ustiono la lingua quando lo butto giù con eccessiva fretta. Vorrei arrivare in anticipo all'appuntamento con la signora May a cui sono stata raccomandata dall'abbiente signora Robert. Arrivare in anticipo lascia sempre un bell'effetto a coloro che assumono. E io voglio lasciarle la migliore impressione perché questo mese c'è la retta da pagare della scuola d'arte di Charlotte. E per quella non bastano gli straordinari pagati di Harry, specialmente se arrivano sempre in ritardo nelle mie mani.

Harry la smette di arricciarsi i baffi e scaccia l'idea con una mano. «Perderemmo solo qualche soldo, che in ogni caso guadagneremo immediatamente al termine dei lavori. I muratori devono solo buttare giù un muro e fare qualche altro lavoretto, ci vorranno si e no tre giorni.»

La nostra conversazione viene interrotta proprio da uno di questi che ci saluta tutti e inizia a discutere con Harry sul daffare.

Mi accascio sullo sgabello con poca grazia, gambe accavallate, labbra poggiate alla tazza a risucchiare caffè caldo come fosse linfa vitale; e in un certo senso lo è. Soffio su una voluta di vapore, per poi ingerire una generosa sorsata del liquido scuro. Mi rigenera e scalda. Il freddo mi fa rabbrividire dalla testa ai piedi quando la porta viene spalancata per fare entrare un altro operaio. Appiattisco i palmi di entrambe le mani sulla tazza bollente per assorbirne il calore.

Sollevo gli occhi da dietro la tazza e lo vedo: «Qualunque cosa tu mi stia per chiedere, io non la farò» sibilo a Trevor che intanto si è avvicinato a me con un sorriso adulatore e ciglia che sbattono lente, controllate, impostore. Un favore è quello che sta per chiedermi la sua bocca imbronciata.

«Selene» sussurra, la sua grande mano a coprire la mia mentre il suo alito caldo mi sfiora la punta del naso. Le lunghe dita mi accarezzano con movimenti pigri le nocche. Alzo gli occhi su di lui e li riduco in fessure mentre tento di non farmi incantare dal suo fascino. «Selene» ci riprova abbassando l'intonazione della sua voce già profonda, rendendola roca, facendo domandare –con molta probabilità– a qualunque donna si trovasse davanti a lui proprio come gli sto io adesso se non sia il caso di aprirgli le gambe e dargliela. Se a occhi estranei questo può sembrare a tutti gli effetti pura effusione, in realtà non è così. «Mia dolce, amabile, incantevole Selene...»

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