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I'm fighting my ego I'm Still Here, Sia

I'm fighting my ego ⎯I'm Still Here, Sia

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PETER

In un gesto istintivo le mani si protendono in avanti per fermare la pazza del 13B (sì, la stessa che ieri mi ha accecato senza alcuna motivazione) venutami addosso.

Non mi serve guardarla in viso per capire che si tratta di lei: quella sua chioma castana, troppo folta per essere contenuta dall'elastico, è più che sufficiente. Sotto la pressione delle sue mani, il corpo risponde contraendosi. Irrigidisco la mascella e la guardo male dietro gli occhiali da sole.

Lei si tira indietro, come scottata dal tenue contatto, e quei suoi grandi occhi marroni si mettono a fissarmi con evidente imbarazzo.

Sebbene starmene impalato a guardarla finora mi abbia portato solo guai —e i miei occhi visibilmente arrossati e irritati ne sono la prova— non riesco a fare diversamente anche adesso. Le guance arrossate la rendono solo più graziosa, nulla a che vedere con l'espressione selvaggia, sulla difensiva, con cui ci siamo scontrati poche ore prima.

La guardo lottare con alcune ciocche, che di starsene dietro le orecchie non ne hanno voglia, e poi sospirare sconfitta e lasciarle libere di vagare nel viso stanco.

Quando sento lo strano quanto improvviso bisogno di aiutarla io con quelle ciocche lucide e all'apparenza molto morbide, mi porto una mano al cappello per raddrizzarlo sulla testa.

«Ci hai dormito con il cappello?» mi domanda e io la sposto di lato per passare e chiudermi la porta alle spalle.

«Fai anche la spiritosa, donna pazza del 13B?»

«Sì. Cioè no. Cioè... Scusami, tendo a dire un mucchio di sciocchezze quando sono in imbarazzo. O parlo così tanto da snervare la persona che mi ascolta o finisco per fare battute sulle prime cosa che mi capitano sott'occhio», mi sta dietro mentre scendo le scale.

«Sono così sfortunato che sei riuscita a fare entrambe le cose con me.»

Lei sorvola sulla frase, e una volta giunti nell'atrio mi oltrepassa per piazzarsi di fronte a me, bloccandomi il passaggio verso il portone. Sbuffo.

«Hai tutte le ragioni per essere arrabbiato: ti ho assalito prima ancora di chiederti cosa stessi facendo, e mi dispiace per questo.» Rischio seriamente che mi aumenti il diabete per la troppa dolcezza con cui ha caricato la frase; sono anni che una persona non si rivolge a me in un modo tanto amabile e sincero —eccetto mia madre.

Lei che da bambino mi ricopriva sempre di attenzioni.  Peccato che con il tempo la sua affettuosità venne sempre meno in privato, utilizzata solo quando c'erano persone intorno a noi, di modo che gli altri pensassero di lei come di una madre meravigliosa. In fondo, l'apparenza è ciò che davvero conta per i Carver. È sempre stato così di che mi ricordi. L'immagine di mia madre con gli occhi fuori dalle orbite e la mandibola quasi staccata alla vista di me trasandato è ancora impressa nella mia mente. Quasi gli veniva un infarto.

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