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I'm losing my mind
Sleepless, Dutch Melrose

I'm losing my mind—Sleepless, Dutch Melrose

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PETER

Guardo fisso davanti a me, l'ombra di una mano spunta fuori dalla parete, all'altro lato della stanza, per poi scomparire e ripresentarsi alla vista una manciata di secondi dopo a qualche metro di distanza. 

È un posto di merda questo ma non c'è stranezza al mondo che possa farmi venire i brividi. Ho vissuto in un inferno fatto di carne e ossa, e non c'è niente di più spaventoso di un uomo vivo che sai possa mettere fine alla tua vita da un giorno all'altro. Spaventarsi dei morti? È dei vivi che bisogna aver paura.

Le labbra mi si schiudono, non riconosco neanche il mio tono quando inizio a parlare. «Il seminterrato, la fossa del morto, così la chiamavo, era il suo posto preferito. Non c'era molto là sotto, solo un pilastro di legno al centro della stanza e un secchio per i bisogni. E poi c'erano i giorni arancioni, in cui mi gettava là dentro finché la luce del sole non scompariva attraverso l'unica finestrella e io restavo da solo al buio. Ma erano i giorni rossi quelli che odiavo di più, quelli in cui mi portava lì per strozzarmi con la sua cintura al pilastro e riempirmi di pugni come se fossi un sacco da boxe e non un bambino di dieci anni. Una volta mi beccò a rovistare nella spazzatura perché il frigo e gli sportelli erano chiusi con un lucchetto, ma erano tre giorni che non mangiavo o bevevo nulla. Lo aveva fatto apposta. Lo faceva sempre apposta. Mi spingeva al limite solo per potermi punire. Non mi lasciava altra strada, proprio come un topo che va dritto nella trappola. Mi portò giù e mi costrinse in quel pilastro, e quando smise anche il semplice gesto di respirare mi procurava un dolore atroce. Da quel giorno mangiai solo roba in scatola che sapevo non si sarebbe mai messo a contare. Ma lui non chiuse mai più il frigo. Sapeva che una volta mi sarebbe bastata per il resto della vita. Sapeva che avrei preferito morire di fame invece che morire in quel buco dove i miei bisogni si confondevano con quelli dei ratti. Ho sofferto a lungo di pubertà ritardata per la mia malnutrizione e perché la cintura aveva reso i muscoli del mio collo così sottili da essere scambiato per un bambino anche quando non lo ero più.»

Selene trattiene il fiato per tutto il mio racconto mentre le mie dita usano i suoi capelli come appiglio, nel caso in cui la mia mente sovraffollata di traumi possa perdere la lucidità ed essere colpita dalla follia che mio nonno è stato in grado di instillarmi con un vissuto così orribile.

Non so bene in che modo debba parlarne. In questi casi c'è un modo giusto di elencargli i segni sulla mia pelle? La mia mente è confusa, sfilo ricordi a caso e spero che lei possa trarre le sue conclusioni da sola. Non so se riuscirò a scendere nei dettagli più di così. Non so se quando chiuderò la bocca avrò perso del tutto il senno e lei sarà in pericolo.

Dovrei allontanarmi. Dovrei volerla proteggere ma se c'è una cosa in cui questa donna è brava è farmi fare tutto quello che vuole lei come un fottuto cane che scodinzola. La sua parola può trasformarsi in una benedizione per me, ma sarei il primo della fila a farmi maledire se fossero le sue labbra a pronunciarne le parole.

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