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Might black out and text my mom (hello)
cinderella's dead,  EMELINE

Might black out and text my mom (hello) ⎯cinderella's dead,  EMELINE

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SELENE

«Si accorgerà che non sono stata io a saldarle il corso», manifesto il mio sconcerto a mia madre subito dopo che il cameriere si dilegua con le nostre ordinazioni, lanciandoci un'ultima occhiata dietro i menù.

Siamo arrivate qui avvolte nel silenzio, io con le braccia attorno al corpo come a mettermi nella difensiva, lei che doveva tenere il passo per starmi dietro; entrambe troppo prese dai nostri pensieri. O almeno per me è stato così.

Lei ci ha pure provato a fare conversazione mentre scomparivamo in una remota caffetteria, nei pressi del Regent's Park, ma io non ne ho voluto sapere. Invece controllavo ogni angolo, in attesa di Charlotte, che da un momento all'altro sarebbe sbucata dal nulla per beccarci lì a confabulare. Chi glielo avrebbe spiegato dopo che queste visite non mi sono affatto gradite?

«Non c'è bisogno che tu le dica che siamo stati noi» replica lei in tono cortese, ma io scuoto la testa, scacciando l'idea con un gesto della mano, e la sua espressione da ottimista qual era si fa mesta.

«Le sto nascondendo fin troppo. Se solo sapesse che non è la prima volta che vieni a trovarmi sul posto di lavoro o che siete già stati a casa nostra, Charlotte chiuderebbe i ponti pure con me. È stato per puro caso che lei si trovasse altrove ogni santa volta.»

La sua frase esce come un sussurro e nella confusione del bar in cui ci siamo rintanate sono quasi costretta a chiederle di ripetere.

Allento la sciarpa, di colpo mi sento soffocare. Mi sventolerei una mano davanti al volto se non avessi di fronte lei. Non posso mostrarmi debole o esitante, non posso farlo per Charlotte. Lei è diventata la mia priorità. In fondo non siamo noi quelle che si trovano nel torto.

«Deve odiarci parecchio...entrambe dovete.» Il mio umore si affossa, un viavai di pensieri pestiferi mi riportano indietro nel tempo, più precisamente a quella lontana ma ancora presente notte di tre anni fa. Questo dolore si rispecchia negli occhi di mia madre. Sta ricordando quello stesso momento.

Si sono riavvicinati a noi da non abbastanza tempo. Cosa si aspettano esattamente? Che ritorniamo dall'oggi al domani la famiglia unita di sempre? D'Artagnan e i tre moschettieri?

«Sai che non ti odio. Odiare è una parola forte», trovo la forza di rincuorarla, ma quando fa il nome di mio padre non riesco a nascondere una certa riottosità. Impallidisco e mi tocca intrecciare le mani sotto il tavolo per contenerne il violento tremore. Questi colloqui genitore-figlia finiscono sempre e solo in un modo per me. In nulla di buono, comunque.

Se sono riuscita a non dare di matto quando si è trattato del mio ex, riuscendo a sfogare la mia sofferenza con una pulita completa del mio appartamento, e con pulita completa intendo passare lo spazzolino tra le fughe del pavimento come una pazza, lucidare ciascuna lampada di quel misero posto, offrirmi addirittura di lavare le scale non solo del mio piano ma dell'intero palazzo. Cacciavo le lacrime. Rassettavo. Tiravo su col naso. Un altro colpo con lo straccio.

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