Capitolo 45

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Fuori è ormai buio pesto, neppure una stella ad illuminare questa notte senza luna, solo una spessa coltre di nubi che minacciano l'imminente arrivo di una tempesta. Eppure da quando siamo saliti sul treno, subito dopo aver lasciato il locale, il mio sguardo non ha mai smesso di osservare il paesaggio che scorre al di là del finestrino come alla disperata ricerca di un qualcosa che possa far chiarezza in quel profondo abisso in cui mi sembra di essere precipitata.

Il viaggio verso casa è stato decisamente più silenzioso della cena, mentre poco fa mi stupivo nel realizzare quanto fosse piacevole conversare con Alex anche delle cose più futili, ora sembriamo due estranei costretti per pura casualità a condividere lo stesso scompartimento di un treno sempre troppo affollato. Due persone qualunque che si incontrano per caso senza mai veramente conoscersi, entrambi troppo persi nei mille pensieri che rendono frenetiche le loro vite per avviare un qualsiasi tipo di conversazione. Tra noi è improvvisamente calato un alone di tristezza cupo come le nuvole che minacciano pioggia al di là di quel finestrino.

Eppure il tempo trascorre rapidamente e quando, per l'ennesima volta, il treno comincia a rallentare mi rendo conto che il momento de separarci si avvicina. Man mano che la velocità diminuisce mi sento assalire da un tremendo senso di smarrimento. Pochi minuti e ci saluteremo, ognuno prenderà la sua strada e Alex, così rapidamente come vi è tornato, uscirà di nuovo dalla mia vita, questa volta forse in maniera definitiva.

La vettura arresta del tutto la sua corsa, è la nostra fermata ma io non riesco a decidermi a scendere tanto che Alex è costretto a richiamare la mia attenzione poggiando delicatamente una mano sulla mia schiena.

Sono completamente nel pallone. In questo momento un turbinio di domande e sensazioni contrastanti si susseguono nella mia testa, come se mi trovassi nel bel mezzo di una tempesta, completamente in balia delle onde e poi all'improvviso ecco l'appiglio che tanto disperatamente cercavo, quell'unica sicurezza in un mare di incertezze: non sono pronta per vederlo di nuovo scomparire nel nulla.

Le porte scorrevoli si aprono davanti ai miei occhi e in un attimo ci ritroviamo in piedi, l'uno di fronte all'altra, sulla banchina di quella stazione deserta. Nessuno dei due sa cosa dire ed è l'imbarazzo a farla da padrone, come dovrei salutarlo? Un abbraccio? Un bacio sulla guancia? Uno stupido ed impacciato gesto con la mano? Come? Una goccia di pioggia mi colpisce il viso scivolando lungo la guancia, mi viene spontaneo sollevare gli occhi al cielo per tornare ad osservare quelle nuvole scure che mi hanno tenuto compagnia per tutto il viaggio di ritorno, ora illuminate a intermittenza da lampi di luce che sembrano infiammare il cielo. Tra non molto scoppierà un tremendo acquazzone.

- Sta cominciando a piovere è meglio se ci muoviamo - anche il tono della sua voce, che per tutta la sera mi era sembrato così spensierato, ora mostra un accenno di malinconia.

- Ho la macchina qui fuori... se vuoi posso darti un passaggio fino a casa - lui continuava a scrutarmi, malinconico nel buio.

Forse non avrei dovuto offrirgli un passaggio, non so neppure se stia tornando davvero a casa dalla sua famiglia nè se i suoi genitori stiano ancora dove vivevano anni fa. Non vorrei che avesse frainteso le mie intenzioni o si sentisse in imbarazzo nel dovermi rivelare che in realtà qualcuno è venuto a prenderlo.

- Voglio dire... tra poco pioverà... - mi passo nervosamente le dita tra i capelli trovandomi terribilmente a disagio. Cosa diavolo sto dicendo? Mi sembra di farfugliare parole a caso.

- Grazie - grazie? Vuol dire che accetta il passaggio? Non poteva essere più chiaro? E adesso che cosa faccio? Sento che mi sto cacciando in un mare di guai, ma non potevo semplicemente salire sulla mia auto e scappare via per ritornare alla mia vita tranquilla e senza problemi? Possibile che dopo sei anni sia ancora così difficile per me lasciarlo semplicemente andare?

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