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Era un giorno soleggiato, una ragazza vagava per il corridoio della scuola. I suoi passi svelti risuonavano per le mura interrompendo quell'atmosfera pacifica. Non c'era più nessuno, mezz'ora fa era suonata la campanella di fine lezione e quasi tutti gli studenti si erano precipitati fuori dall'edificio: nessuno avrebbe voluto restare un secondo in più in quel posto. A lei non le dispiaceva, avrebbe voluto restare fino a tardi lì. C'era solo lei adesso, nell'uniforme troppo larga. Una camicia bianca, la cravatta bordeaux e una giacca giallastra. La gonna nera arrivava fin giù alle ginocchia ma non poteva farci niente, l'aveva comprata di una taglia più grande proprio perchè sarebbe cresciuta (così sperava) e non avrebbe speso altri soldi per prenderne una nuova. I suoi capelli bianchi cadevano sciolti sulle spalle. Erano bianchi come quelli di Gojo quindi li teneva con una cura particolare, forse erano l'unica cosa di lei che curava: non quei vestiti fuori taglia, non quelle scarpe di cuoio sporche. 

"Sei sicuro che è nei dintorni?" Chiese come a lei stessa, non c'era infatti nessuno nei paraggi. 

"Eh sì, proprio sicuro. Il sistema non sbaglia mai." 

Una voce di cui non si distingueva il sesso risuonò dentro la sua testa.

"Non puoi dirmi direttamente dove è?" Se qualcuno fosse ritornato per riprendersi un quaderno scordato si sarebbe sicuramente allontanato di almeno due metri da lei, pareva proprio stare parlando con sè stessa come una matta.

"Non c'erano già regolamenti per la situazione in cui ci troviamo quindi sono libera di fare ciò che voglio. Però, non voglio dirtelo. Così è più divertente." 

"Guarda che anche io posso arrabbiarmi." 

"Secondo i miei dati il tuo livello di rabbia non è salito di nemmeno un centesimo. Mi vuoi solo spaventare." 

Lei non rispose, era finita nel retro della scuola: il posto preferito degli studenti, lo usavano tutti per dichiararsi. Decise di andare a vedere lì, il suo sesto senso le diceva che chi cercava era proprio lì. Se era lui, quel posto era davvero adatto per... insegnare la gente. 

Non aveva sbagliato, nel momento in cui le sue suole toccarono suolo esterno i suoi occhi si imbatterono su una montagna di corpi, impilati uno sull'altro. Deglutì piano e innalzò la visuale, c'era un ragazzo seduto in cima. Capelli a riccio e un espressione di disprezzo, un senso di familiarità e stranezza invase il suo corpo. Era davvero Megumi, il vero Megumi, l'aveva davvero incontrato. La descrizione era quella. Seduto lì in alto si stava toccando un ciuffo, incurante di tutto. Non si era accorto della sua presenza, continuava con il suo discorso. 

"Sapete qual è il requisito minimo per l'interazione umana? 'Non ti ucciderò... quindi per favore non uccidermi'. Potete sostituire 'uccidere' con qualsiasi altra cosa. In pratica non dovete oltrepassare il limite che viola la dignità di un'altra persona. Dovete essere in grado di riconoscere l'esistenza dell'altro. Questa è la regola. Voi l'avete ignorata e riempito il vostro stupido ego e l'avete trattata come una scocciatura."

L'unico pensiero rimasto nella testa di lei era l'esagerazione di quella scena. Suo fratello non stava esagerando, ritrovarselo davanti agli occhi era assurdo. Come diamine aveva fatto a battere tutte quelle persone? 

Il vento si infilò tra la cortina lucente dei suoi lunghi capelli, ciocche argentei si contrapposero fra gli suoi occhi e la sagoma del ragazzo. Li chiuse per scappare dalle punte appuntite e quindi sistemò le ciocche ribelli dietro l'orecchio destro. 

Quando li riaprì però, si scontrò in un paio di occhi verdi, che si erano accorti finalmente della sua presenza e adesso la stavano fissando in allerta. La ragazza inclinò il capo verso l'alto e resse quel contatto visivo, stava pensando a quanto potesse essere scomodo essere seduti sulla spina dorsale di un altro. 

Island In The Sun ‖ Jujutsu KaisenDove le storie prendono vita. Scoprilo ora