Quand le ciel bas et lourd pèse comme un couvercle
(Charles Baudelaire, Spleen)Ci furono altre battaglie, altre vittorie, molto sangue fu versato e molte vite furono sottratte. Decine di città erano ora fedeli a Grindelwald, il Ministero della Magia perdeva lentamente il controllo e l'Inghilterra era divisa tra la paura e quella strana, inquietante eccitazione che si prova sull'orlo di un mondo nuovo. Anche Thunder lo era, ma cercava in tutti i modi di far sì che non fosse la paura a prevalere.
Una mattina si svegliò con un gran desiderio di tornare a casa e ci mise più del solito a soffocarlo. Ipotizzò che piangere l'avrebbe aiutata a far fluire via dal suo corpo quel pensiero indebito, ma si sentiva così vuota che non riuscì neppure a versare una lacrima. Si chiese se fosse possibile soffrire a tal punto da non riuscire più a piangere, se si fosse ormai del tutto assuefatta al dolore, se questa fosse una cosa poi così negativa. Decise che simili domande non facevano che indebolire lo spirito, e siccome era chiaro che non avrebbero trovato alcuna risposta, si infilò le scarpe e uscì dalla piccola e spartana stanza personale che le era stata affidata. Camminare le avrebbe fatto bene, le avrebbe dato l'impressione di star facendo qualcosa, magari qualcosa di utile. Qualcosa che l'avrebbe avvicinata a casa. O almeno si sarebbe illusa che fosse così. Era una piccola abitudine che aveva preso: quando non era impegnata a combattere si dedicava all'esplorazione del Quartier Generale, una fitta rete di cunicoli proprio sotto il castello di Dover. Perdersi sarebbe stato straordinariamente semplice, dal momento che nel buio fiocamente illuminato riusciva a distinguere soltanto pietra, gallerie e gallerie di pietra tutte uguali, che odoravano di pietra, erano fredde come la pietra e non somigliavano a nient'altro se non a blocchi di pietra. Di tanto in tanto in quelle fredde e interminabili distese rocciose che costituivano le pareti si apriva una porticina, ma era un dettaglio che si confondeva facilmente con la dura fissità del luogo. Thunder indossava quasi esclusivamente lunghi abiti neri che la facevano sentire una principessa nel suo castello, e all'inizio aveva pensato di essere capitata nel sogno di qualcun altro, dato che per lei tutta quella situazione era un perfetto incubo. Quel giorno quasi ci riuscì a perdersi, e una parte di lei forse lo desiderava.
Sì, le sarebbe piaciuto sparire inghiottita nella pietra, magari diventare pietra lei stessa.
Cinquecentosedici, cinquecentodiciassette, cinquecentodiciotto.
Arrivò in fondo a un cunicolo e si ritrovò in un vicolo cieco. Cinquecentodiciotto passi dalla cripta verso la direzione in cui guardava l'altare. Puntò la bacchetta verso l'angolo in cui la parete di destra e quella di fondo si incontravano con il pavimento e un attimo dopo sei lettere erano incise nella pietra: "DXVIII". Sarebbe stato impossibile vederle senza sapere dove cercare. Analizzò se stessa nel tentativo di capire se le sue emozioni fossero tornate sotto il suo controllo e si convinse di stare meglio, ma pensò che esplorare un altro cunicolo sarebbe stato decisivo per impietrire del tutto il suo cuore.
È quello che avrebbe fatto per il resto della mattinata, magari per tutto il giorno, esplorare gallerie, camminare fino a farsi venire le vesciche ai piedi. Ma non andò così, perché quando si voltò per tornare indietro qualcosa era cambiato: il cunicolo in cui era entrata procedeva dritto per almeno settanta passi, quello in cui si trovava adesso svoltava a destra proprio davanti a lei, mentre tutti gli altri lati erano chiusi da pareti di roccia.
Il suo primo pensiero fu che semplicemente ricordasse male, ma nella sua memoria era chiarissima l'immagine di un cunicolo che procedeva dritto fino alla parete che lo interrompeva. A quel punto capì che quello strano labirinto doveva essere incantato. Guardò la sua ultima incisione nell'angolo in cui la parete di destra e quella di fondo si incontravano con il pavimento: quanto tempo aveva perso nell'inutile tentativo di trovare punti di riferimento laddove non ce n'erano? Ebbe a malapena il tempo di processare quella nuova scoperta, poi sentì dei passi che si avvicinavano.
Non aveva mai capito come fosse possibile che in quel posto ci fosse sempre qualcuno che arrivava nel momento in cui più avrebbe avuto bisogno di stare da sola e di non essere vista, si sentiva come se la spiassero continuamente. Forse, si disse, semplicemente non c'era momento in cui non sentisse il bisogno di solitudine.
Per un attimo la tensione di quel momento la rese paranoica e le fece pensare che stessero venendo a prendere proprio lei, che volessero punirla per chissà quale errore, magari perché aveva guardato troppo, aveva dimenticato qualche regola, era finita senza saperlo in una zona proibita, o magari avevano scoperto la sua copertura. Istintivamente aveva già cominciato a guardarsi intorno alla ricerca di un buon nascondiglio, ma poi si costrinse a pensare razionalmente:
Sciocca, non hai fatto niente di male.
Nessun Grindelwaldiano si sarebbe rifugiato nell'ombra come un coniglio, nessuno sarebbe scappato dai suoi stessi compagni d'armi. Sollevò la testa e guardò fisso davanti a sé, solo per vedere inconfondibili capelli chiarissimi svoltare l'angolo. Gellert Grindelwald in persona veniva verso di lei, seguito da quattro figure vestite di nero. Riconobbe la ragazza pallida con i capelli troppo lunghi e la strega anziana che l'aveva scoperta quando aveva usato la poiana per mandare un messaggio a New York.
Grindelwald si fermò a pochi passi da lei e la guardò fisso negli occhi, come se attraverso quel gesto stesse scandagliando i recessi più profondi della sua anima alla ricerca di un germe di tradimento. Forse era proprio quello che stava facendo. Ci fu un lungo istante di silenzio, che diede a Thunder il tempo di notare un leggerissimo odore di sangue nascosto sotto note di incenso.
— Che piacere incrociarla, Thunder. — disse a bassissima voce. — posso sperare nel piacere della sua compagnia?
Thunder si unì al piccolo corteo e si diresse insieme a loro verso una porticina scavata nella pietra. Grindelwald la aprì e lasciò che tutti loro entrassero, accertandosi che il gruppo fosse al completo prima di richiudere la porta alle loro spalle. La porta non conduceva a una stanza, ma a una larga scala a chiocciola che scendeva nel buio. Grindelwald fece un cenno alla vecchia e lei abbassò il capo, i suoi occhi si fecero di colpo vuoti, persi nel vuoto, mentre cominciava a scendere un gradino alla volta. Tutti rimasero a guardarla finché il buio non la inghiottì. A quel punto Thunder ebbe veramente paura. Per diversi minuti nessuno parlò, nessuno si mosse, e Thunder si ritrovò a fare i conti con mille domande. Odiava non sapere cosa fosse successo alla vecchia, se fosse viva, cosa sarebbe successo agli altri, se sarebbero usciti da lì o sarebbero stati costretti a scendere giù anche loro, cosa ci fosse là sotto. Odiava non capire cosa stesse accadendo e perché, ma odiava anche il pensiero che molto presto l'avrebbe scoperto e non le sarebbe piaciuto. All'improvviso Grindelwald li guardò, e senza dire una parola diede un ordine molto chiaro: scendete. Thunder andò avanti per prima, non riuscendo a sopportare l'idea di restare un secondo di più in bilico senza sapere. Alla fine sarebbe scesa comunque, che senso aveva prolungare la sofferenza?
Sentiva un senso di oppressione al petto che si faceva sempre più forte a ogni gradino. Più andava giù, più la scala si restringeva e le pareti si avvicinavano tra di loro. Sentiva il buio che la avvolgeva quasi come se fosse una sensazione fisica e più scendeva, più si sentiva sola e isolata dal mondo. Quando la scala finì, le pareti si aprirono di colpo ad abbracciare un'ampia sala circolare completamente vuota. Non c'era altro che un blocco di pietra proprio al centro, illuminato dall'alto da un cerchio di luce al di fuori del quale tutto era nero. Cercò di capire da dove provenisse la luce, ma non c'erano né finestre né candele, e naturalmente non c'era traccia di elettricità.
La strega anziana era rannicchiata contro la parete della stanza, coperta dal suo mantello, e nel buio a Thunder sembrò di sentirla singhiozzare.
— Accompagnatela pure al centro, — disse Grindelwald con una calma di ghiaccio.
La ragazza con i capelli lunghi si staccò dal gruppo insieme a un altro dei Grindelwaldiani, un uomo incappucciato, e insieme trascinarono la vecchia al centro della stanza e la fecero sedere sul blocco di pietra. Il suo sguardo non si staccò dal pavimento, il suo corpo, che sotto la luce sembrava molto più piccolo, tremava.
Grindelwald aprì la mano, e il mago che gli era rimasto accanto gli porse un foglio di pergamena sgualcito a tal punto da risultare illeggibile. Ciascuno dei quattro Grindelwaldiani sembrava avere un ruolo ben preciso, e Thunder non potè fare a meno di chiedersi cosa ci facesse lei lì.
Grindelwald sollevò il foglio di pergamena affinché tutti i presenti potessero vederlo chiaramente, poi lo bruciò con la bacchetta.
— Sembra che la vecchia Judith abbia avuto un moto di nostalgia ultimamente — Grindelwald si avvicinò alla strega, che prese a tremare ancora più violentemente, e le sussurrò: — Coraggio, dicci cosa hai fatto.
— Ho provato a... — la voce della vecchia Judith si spezzò.
— Sì?
— Ho provato a inviare una lettera.
— Per chi era la lettera?
— Per mio figlio.
— E come mai hai provato a inviare una lettera a tuo figlio?
Per la prima volta Thunder vide la strega distogliere gli occhi dal pavimento. Sollevò lo sguardo per fissare lei.
— Perché mi mancava.
Thunder ebbe l'impressione che la vecchia Judith stesse parlando con lei prima ancora che con Grindelwald, ma il suo sguardo era inespressivo.
— Sapevi che entrare qui significa lasciarsi alle spalle ogni cosa della vita a cui si apparteneva prima, comprese le persone?
— Lo sapevo.
— E sai che comunicare con l'esterno mette in grave pericolo tutti noi, la nostra missione e la stessa segretezza dei nostri piani, favorendo i nostri nemici?
— Lo so.
— Eppure l'hai fatto ugualmente.
— Sì.
— Perché pensavi di non essere scoperta?
Ci fu un lungo silenzio. Thunder sentiva ancora gli occhi della vecchia Judith su di sé e non riusciva più a ignorare il messaggio che quello sguardo le mandava:
Dovresti essere tu la prima a sedersi su questo blocco di pietra.
— Sì, pensavo di non essere scoperta.
— Mi dispiace, Jude. Ti è andata male.
Fece segno a Thunder di avvicinarsi, e lei sentì le sue gambe che la trascinavano in avanti. Se avesse provato a fermarsi, non ci sarebbe riuscita.
— Ho bisogno che sia lei a farlo per me, cara.
— Che cosa? — trovò il coraggio di dire.
— Usi la maledizione Cruciatus.
Un ordine chiaro, una richiesta formulata con una calma imperturbabile. Avrebbe potuto chiederle di preparargli un tè con quello stesso identico tono. Eppure era la sua anima che Grindelwald le stava chiedendo. Se l'avesse fatto, non avrebbe mai più avuto modo di ripulirsi da quella macchia. Si accorse che non le importava più così tanto, perché non credeva che sarebbe sopravvissuta a lungo e qualsiasi punizione la attendesse dopo la morte, ormai l'aveva già meritata. Puntò la bacchetta contro la vecchia Judith, che non aveva smesso di guardarla. Sarebbe dovuto essere il contrario. Era stata lei la prima a provare a spedire un messaggio, e se non era stata torturata era solo perché la vecchia Judith aveva tenuto la bocca chiusa. Di quello sì, le importava ancora. Le mancò l'aria e fu costretta a indietreggiare.
— No, non voglio farlo. — disse, e si pentì immediatamente di quelle parole.
Accadde tutto così in fretta che Thunder non ebbe il tempo di riflettere.
Grindelwald puntava la bacchetta contro la vecchia Judith. Lei smetteva improvvisamente di tremare mentre la sua espressione si trasfigurava e il dolore le strappava un urlo disperato.
— D'accordo, lo farò io. — si sentì dire come dall'esterno.
Non lo voglio davvero. Non le farà così male.
Si affidò a questo pensiero, ma non considerò la rabbia che covava in lei, non vide quel minuscolo frammento della sua mente che pensava a quanto più semplice sarebbe stato se Judith fosse morta, e il segreto della poiana inseme a lei.
— Crucio! — Thunder sentì qualcosa dentro di lei che si spegneva, come se in quel preciso istante avesse perso una parte di sé. Non fu un'esplosione, una rottura, una sensazione dolorosamente sublime: nient'altro che un interruttore che si spegneva, una parte di lei che si congedava per sempre, la cui assenza non provocò alcuno stravolgimento.
Non avrebbe dovuto essere così semplice rinunciare alla propria anima.
Poi smise di pensare, smise di guardare, e quando tornò presente a se stessa la vecchia Judith era a terra priva di sensi, e lei al di là di ogni possibile perdono.
Non ricordò mai di aver risalito le scale, di essere riemersa da quella stanza orribile. La prima cosa che sentì dopo quel momento era che stava correndo via, più lontano possibile, che non sapeva dove stesse andando e che aveva un gran bisogno di lanciare qualcosa. Cadde a terra, un sudore freddo le scorreva lungo il collo mentre lei perdeva lentamente il controllo. Non riusciva a respirare, non riusciva a smettere di tremare, le dita delle sue mani formicolavano. Più cercava di disciplinare il suo corpo e la sua mente sotto il suo controllo, più sensazioni che non comprendeva la travolgevano, impedendole di uscire da quel vortice. Non sapeva cosa fare, temeva che non ne sarebbe mai più uscita e si sarebbe semplicemente guardata dall'esterno, impotente, mentre scivolava nella follia. All'improvviso una figura nera entrò nel suo campo visivo, e da qualche parte nella sua mente si formò il pensiero che fossero venuti a cercarla. Con uno scatto tentò di scappare, ma la figura nera disse con voce calma: — Non preoccuparti, non voglio farti del male.
Thunder aveva la vista sfocata e ci mise un po' a riconoscere la ragazza pallida con i capelli lunghi.
— Cosa mi sta succedendo? — riuscì a chiedere.
— Non temere, è una reazione normale, passerà. È la prima volta che ti capita?
— Di lanciare una Maledizione Senza Perdono o di perdere la testa?
— Entrambe le cose, se preferisci.
— Sì.
— D'accordo. Adesso tu devi respirare, stai trattenendo il fiato. Prendi un bel respiro e rilassa il corpo.
Thunder non si era resa conto fino a quel momento di quanto fosse tesa. Fece come le veniva detto e gradualmente riuscì a rimettere a fuoco la vista, ma tremava ancora.
— Perché mi stai aiutando?
— Sono una seguace di Grindelwald, non un mostro. E nemmeno tu lo sei. Mi chiamo Emily, a proposito. Forza, alzati, andiamo a fare una passeggiata, ho sentito che le scogliere sono particolarmente suggestive a quest'ora.
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Unitevi a me... o morite
Fiksi PenggemarSequel di "Tu cerca di non farti investigare" Un misterioso assassino di Creature magiche si aggira indisturbato per il Mondo Magico, scivolando silenzioso nel nero della notte, e l'unico indizio è la sua firma, una "T". Nel frattempo, la ricerca di...