Guastafeste

222 21 15
                                    

Heureux qui, comme Ulysse, a fait un beau voyage
-Joachim du Bellay

Erano passate ore dalla sventura della casa ostile, ore di duro cammino, paesaggi all'apparenza sempre uguali che si alternavano a piccoli villaggi dal gusto britannico, ore di silenzio e di nervosismo, di stanchezza accumulata che minacciava di esplodere da un momento all'altro. Erano partiti quella mattina, e il sole stava infine calando dopo un tempo che era sembrato interminabile. Lo spettro di quello che era accaduto il giorno prima aleggiava ancora sui tre sfortunati viaggiatori, insieme a tutte le domande che aveva portato con sé. Chi era l'uomo nella casa? Perché aveva preso quell'innocente bambina dai capelli rossi? Perché quella donna si trovava lì? Cosa stava succedendo a Jacob?
Tra un dubbio e l'altro, Newt si guardava intorno distrattamente, cercando conforto nell'ambiente circostante e nell'aria così piacevolmente inglese. Aria di casa. Ancora una volta, si ritrovò a pensare alla sua famiglia, ma per la prima volta dopo tanto tempo si sentì come rappacificato. Aveva sempre salutato i tetti della sua città che si avvicinavano con una certa malinconia, aveva sempre pensato che la parte peggiore di qualsiasi viaggio fosse tornare, avrebbe vissuto la sua intera vita in posti sempre nuovi, senza mai scivolare nel vortice della routine, senza mai sapere cosa aspettarsi, ma in quel momento così privo di certezze aveva bisogno di rivedere i luoghi della sua infanzia e tornare alle origini. Giungere alla fine del più doloroso dei viaggi era un sollievo, ma la loro avventura era ben lungi dal concludersi. Londra non rappresentava che un obiettivo momentaneo, una sottile e flebile speranza di pace a cui aggrapparsi.
Giunsero presto a una cascata che con il suo crescente scrosciare copriva il rumore dei loro passi sul terreno. Aveva appena piovuto e su, nel cielo plumbeo, c'era un debole arcobaleno. Newt rimase incantato; ne aveva visti tanti nella sua vita, ma quello era diverso, era speciale. Si faceva timidamente spazio tra i pesanti nuvoloni, così etereo e impalpabile che sembrava sul punto di sparire ogni volta, un battito di ciglia e quasi non si vedeva più, poi tornava più deciso che mai, quando alzavi lo sguardo pareva quasi che fosse lui a seguire i tuoi occhi, e non il contrario. Sembrava impossibile che esistesse qualcosa di tanto fragile, come un ponte tra il sogno e la materia. Dall'altro lato, la luce abbagliante dei raggi dell'ultimo sole, che ornava le pesanti nuvole di dolci contorni dorati, ora più scuri, di un allegro arancione di fuoco, ora di un giallo finissimo, quasi bianco. Un'enorme massa d'acqua si tuffava da un'altezza vertiginosa, che rasentava il cielo, e con grida di gioia si stagliava, purissima, sulla dura roccia. La cornice verde della vegetazione rendeva il paesaggio così armonioso che sembrava quasi impregnato di una dolce melodia. A Newt bastò guardarsi intorno, e immediatamente un nome si fece strada nella sua mente: Canonteign Falls. Questo significava che si erano quasi lasciati alle spalle Dartmoor, ma mancavano almeno tre giorni di cammino ininterrotto, e presto le forze e le provviste sarebbero venute a mancare. Sinceramente preoccupato, decise di condividere i suoi timori con i compagni di viaggio, che furono ben lieti di fermarsi a riposare i piedi stanchi e ascoltarlo seduti sul prato.
— Dobbiamo trovare un altro mezzo di trasporto, i nostri piedi non reggeranno a lungo e Londra è lontana — suggerì Newt, andando dritto al punto.
— Potremmo addentrarci in una città e cercare qualcuno disposto a posizionare una Passaporta per noi — propose Queenie
— Qualunque cosa sia questa passa e porta, di certo chiederanno di essere pagati —, osservò Jacob, — e noi non abbiamo denaro —.
— Ci toccherà smaterializzarci, allora — Newt si morse il labbro come se si fosse già pentito delle sue parole.
— Sei pazzo? — obiettò Queenie — l'hai detto tu stesso che è lontano, Jacob si Spaccherebbe di certo, e Deliverance Dane sa cosa accadrebbe se un No-Mag si Spaccasse!
Jacob preferì non commentare, ma in quel momento si sentì per l'ennesima volta un peso per il mago e la strega, che in più di un'occasione si erano dimostrati più resistenti di lui, così cercò di fare la prima cosa che gli venne in mente per aiutare, e propose quella che gli sembrava la scelta più saggia per i suoi piedi doloranti.
— Forse dovremmo semplicemente fare più pause — disse. — Se il nostro problema è la stanchezza, facendo meno ore di cammino ogni giorno impiegheremmo più tempo, ma almeno arriveremmo tutti interi —.
Queenie e Newt fecero per controbattere, ma non trovarono nulla da dire. Era meglio essere sicuri di arrivare tardi che rischiare di non arrivare affatto, e comunque nessuno dei due aveva un'idea migliore.
— Ottima idea, tesoro. Partiamo domani — sentenziò Queenie, prendendo in mano le redini della situazione.
Newt abbassò lo sguardo, poco convinto, ma non disse nulla. Sospirò e andò a sedersi su una roccia poco distante, pensieroso ed evidentemente sconfortato. Jacob lo vide e immediatamente fece per seguirlo, ma prima che potesse fare un passo si sentì afferrare per l'orlo della giacca.
— Queenie — riconobbe immediatamente il suo tocco delicato ma deciso, e si voltò a guardarla con espressione interrogativa.
— Dobbiamo... — iniziò lei, prendendo la bacchetta e puntandola verso i suoi polsi.
— No, ti prego! — si lamentò lui. — Non voglio che mi leghi come un salame un'altra volta
— Andiamo tesoro, solo finché non ripartiamo! Stavolta farò un nodo più largo, promesso! — insisté lei, sfiorandogli dolcemente la mano.
— Perché dobbiamo farlo? — chiese Jacob, che proprio non riusciva a capire quell'improvviso eccesso di apprensione da parte dell'amata.
— È per proteggerti, davvero, è importante... ti fidi di me?
— Ma certo che mi fido, ma so cavarmela anche da solo, non voglio che tu mi faccia da balia!
— Jacob, per favore, non voglio discutere con te...
— Nemmeno io. Ieri ti ho dato fiducia e non è successo nulla, adesso sono io a chiederti di avere fiducia in me. Lasciami libero, andrà tutto bene! — con queste parole, Jacob si liberò con delicatezza dalla mano di Queenie che accarezzava la sua.
— E va bene — concesse lei, con uno sguardo sinceramente preoccupato sul volto. — ma se senti qualcosa di strano chiamami. Tieni il controllo della tua mente, caro, non lasciarti ingannare! — lo ammonì, pur sapendo che lui non avrebbe mai capito a fondo quelle parole, poi lo lasciò andare, nella speranza di aver fatto la scelta giusta.
Finalmente libero, Jacob si avvicinò a Newt che, ancora sconsolato, stava disegnando qualcosa con del carboncino su un foglio stropicciato e strappato in più punti. Alle spalle del Magizoologo, Jacob osservò la sua opera e rimase a bocca aperta; stava ritraendo un pony che, avventurandosi con coraggio ammirevole, si destreggiava nelle zone più pericolose e più belle della cascata, alla ricerca dell'erba più fresca. La precisione anatomica dei tratti dell'animale lasciava trasparire il lungo studio che il Magizoologo aveva condotto, evidentemente non aveva ancora abbandonato l'idea di scrivere un libro sulle Creature non magiche, e tutto l'impegno che stava dedicando alla sua opera l'avrebbe di certo resa un successo. La sicurezza con cui le sue mani si muovevano a tracciare linee perfette e particolari minuziosi era impressionante, e il risultato era una figura elegante che sembrava pronta a balzare fuori dal foglio e prendere vita.
— Wow... — mormorò il Babbano, facendo sobbalzare il mago che, colto di sorpresa, lasciò cadere il carboncino.
— Non è niente... — disse Newt con la sua solita modestia, senza alzare lo sguardo dal foglio stropicciato.
— Mi prendi in giro? Sembra vero! — esclamò Jacob.
— Dicono che si è molto più poetici quando si soffre — Newt sospirò, mentre il suo sguardo si perdeva lontano, oltre la cascata.
— Suvvia, non dire così! — l'amico tentò di tirargli su il morale esibendo un largo sorriso. — So benissimo come ti senti, ma si sistemerà tutto —.
— senza offesa, ma non credo che tu possa capire come mi sento — disse Newt, senza riuscire a guardarlo negli occhi.
— Sei preoccupato per Tina — dedusse Jacob. — hai paura che arrivando più tardi non la troveremo più, o comunque sarà troppo tardi per convincerla a tornare indietro. Vorresti arrivare al più presto, ma non sai dove andare a sbattere la testa perché più guardi gli indizi che ha lasciato, più non ci capisci niente. Ti senti in colpa perché è partita mentre dormivi e non hai potuto fare nulla per fermarla, hai ancora fiducia in lei ma temi che possa rivelare a Grindelwald la posizione della tua famiglia, quindi non sai più chi proteggere, e la cosa che ti fa stare peggio è che in verità non puoi proteggere né Tina né la tua famiglia, e tutto questo è aggravato dal senso di colpa per la bambina che non siamo riusciti a salvare — concluse, lasciando Newt a bocca aperta.
— Merlino, è esattamente così che mi sento! — ammise.
— Lo so, ce l'hai scritto in faccia
— Ho tutto questo scritto in faccia?
— Sicuro! E vedrai che andrà tutto bene
Newt rimase in silenzio per un po', perso tra i suoi pensieri, poi sospirò e agitò la testa, come per scacciare via un pensiero.
— È solo che non saprei cosa dirle se la trovassimo. Come potrei convincerla a seguirci? Queenie ha già detto che non ha intenzione di farlo al posto mio...
— Perché sa che ti ascolterà. Devi solo dirle quello che senti, non è difficile!
— No, non credo che "Ti prego, vieni via con noi anche se ci odi, ho bisogno di te perché credo di essermi innamorato" sia un'opzione
— E perché no? Se ammettessi i tuoi dannati sentimenti stareste meglio entrambi!
— Per te è facile. Tu sei divertente e gentile. Io sono solo un guastafeste, lei non potrebbe mai amarmi
— Newt...
— Non mi sto autocommiserando, è la verità.
Newt esitò, poi arrotolò una manica della camicia e scoprì il braccio fino al gomito.
— Mio padre me lo diceva sempre — spiegò, indicando una delle numerose cicatrici che gli correvano lungo il braccio. — Aveva uno strano metodo per punirci. Non ci ha mai picchiati, né con le mani né con la magia, ma le sue parole facevano ancora più male, il modo in cui le diceva era... troppo. Quando sono caduto e mi sono fatto questo graffio mi ha detto che ero un incapace guastafeste, e alla fine, a furia di ripetermelo, credo di esserlo diventato. Secondo te sono un guastafeste? — non era una domanda di circostanza. Non si aspettava una risposta precisa. No, era una domanda sincera, lo si intravedeva nel suo sguardo simile a quello di un bambino.
— Newt, devi ascoltarmi — rispose Jacob. — tu sei il migliore amico che abbia mai avuto, e non mi importa quanto tu possa essere goffo o socialmente impedito. Hai un gran cuore, e sono lieto di averti conosciuto
Newt sembrò toccato nel profondo da quelle parole, e un timido sorriso si fece strada tra le sue labbra. Senza dire niente, allungò le braccia verso Jacob in un movimento impacciato e lo abbracciò.

Unitevi a me... o moriteDove le storie prendono vita. Scoprilo ora