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She curses the injustice
And begs to know the reason why
She suffers in this prison
When all she wants to do is fly
(Jane Eyre The Musical, The Orphan)

Saoirse si sedette tra gli sguardi e i mormorii dei circensi, che non riuscivano a evitare di spostarsi leggermente quando lei passava. L'atmosfera era incredibilmente tesa. La ragazza si sentì piuttosto sfiduciata, ma del resto non poteva biasimarli: Dio sa quanta sofferenza poteva aver causato loro sua sorella, perché era certamente di questo che si trattava; era l'unica giustificazione che trovava alla loro reticenza. Si tolse il mantello, e vide i volti di tutti i presenti rilassarsi leggermente. Era calato il silenzio e tutti gli occhi erano puntati su di lei, incuriositi. Quel silenzio le faceva paura, le ricordava il luogo da cui stava scappando. Sentiva di doverlo colmare al più presto, ma da dove cominciare? Come fare a spiegare la situazione così complessa in cui era coinvolta? Si immaginò al posto di quelle persone, li guardò uno per uno, li osservò e tentò di cogliere tutte le informazioni che trasparivano dai loro atteggiamenti, dai loro sguardi, ne studiò l'apparenza per coglierne l'essenza. Fu a quel punto che il suo sguardo attento si posò su Martha. Guardò le sue mani, mani che aveva già visto prima, e capì tutto.
— Lei è... — disse, ma prima che potesse completare la frase vide un'ombra di panico e di puro terrore attraversare gli occhi della ragazza. Saoirse era sicura che avesse colto quello che stava per dire, e da quello sguardo capì due cose: che la sua intuizione era corretta e che gli altri presenti non sapevano nulla di ciò che quella ragazza era in realtà. La comprendeva, probabilmente anche lei avrebbe preferito che una cosa simile rimanesse un segreto. Soprattutto dopo certe cose che aveva visto...
— Il capo di questo circo, sì — la interruppe bruscamente Martha, che aveva effettivamente capito che il suo segreto era stato scoperto ed era alquanto preoccupata: come aveva fatto quella ragazzina a capirlo? Sorrise per nascondere a tutti gli altri il suo turbamento e si affrettò a cambiare discorso: — Queenie, per piacere... potresti preparare una zuppa calda per la nostra ospite?
Queenie non se lo fece ripetere due volte: l'aveva detto solo a Jacob, ma quel giorno si sentiva particolarmente stanca. Cucinare la aiutava a rilassarsi, era proprio quello che le ci voleva in quel momento. Jacob, che sapeva quanto si sentisse debole quella sera, andò con lei.
— Grazie infinite — disse Saoirse gentilmente.
Continuò a osservare i presenti, e si accorse dell'uomo che poco prima aveva avuto una breve conversazione con il ragno parlante. Era seduto leggermente in disparte, con gli occhi bassi, e stava pregando sottovoce il ragno di entrare in una vecchia valigia. Un uomo di quel genere non poteva che rispondere a un nome: Newt Scamander. Fu un'enorme sorpresa per lei trovarlo lì: Maeve lo cercava da tempo, ma nell'ultimo periodo era diventata un'ossessione. Un gran numero di spedizioni erano partite con lo scopo di assassinare le sue creature e prenderne gli occhi, e alcune, a giudicare dalle informazioni che era riuscita a origliare, erano anche riuscite. Si sentì mancare: aveva un aspetto così buono, ma in lui vedeva la sofferenza. Era chiaro quanto fosse affezionato alle sue Creature, per lui doveva essere stato come perdere dei figli. Sentì crescere una sensazione di odio nei confronti della sorella e di tutti i Taciti, che erano stati capaci di simili azioni. Decise che si sarebbe fidata di quelle persone, avrebbe detto loro ogni cosa.
— Io le consiglio di non tenere quella valigia così in bella vista. Le sue Creature sono ancora in pericolo, signor Scamander — disse Saoirse, ma la voce le uscì fredda e arcigna, in contrapposizione con la vera natura dei suoi pensieri. Tentò di addolcire il tono, sebbene da tempo non fosse più abituata a pronunciare parole che non fossero di ostinata ribellione. —  Mi dispiace così tanto per quelle che ha perduto finora... sul serio, posso solo immaginare il suo dolore...
Tutti guardarono Newt, chiedendosi se si conoscessero, Newt guardò Saoirse, mille domande inespresse dipinte sul suo volto. Proprio in quel momento tornarono Queenie e Jacob; lei era pallida e si sedette appena entrata, lui porse la zuppa a Saoirse e poi tornò da Queenie, le prese la mano e le permise di appoggiare la testa sulla sua spalla. La ragazza irlandese decise che era arrivato il momento di raccontare la sua storia. Mandò giù un cucchiaio di zuppa che la ristorò immediatamente e cominciò: — Sono nata a Dublino in una famiglia normale e felice. Non avevamo niente a che fare con la magia, non sapevamo nemmeno esistesse, eravamo una famiglia Babbana come le altre. — Queenie strinse forte la mano di Jacob. — Mia sorella Maeve e io eravamo molto vicine... ci piaceva fare lunghe passeggiate per la città. Ed è esattamente ciò che stavamo facendo quel giorno... — la ragazza si fermò: le costava un'enorme fatica ricordare quei momenti. Se solo avesse saputo che non sarebbe mai più tornata a casa da quella passeggiata! Almeno avrebbe potuto dire addio ai suoi genitori. —  Per tornare a casa nostra percorrevamo sempre un tratto di strada isolato. I nostri genitori ci dicevano di non prendere quella strada, ma noi lo facevamo comunque perché era più veloce. Scoprimmo a nostre spese che i nostri genitori avevano ragione: fu proprio lì che fummo rapite. Un uomo con i capelli color platino e gli occhi di ghiaccio ci trascinò con sé con la forza. Ci costrinse a seguirlo su una nave e ci portò in Inghilterra. Scoprimmo poi che quell'uomo era un mago potentissimo e si chiamava Gellert Grindelwald. Ma sono certa che tutti voi lo conosciate già. Ci diceva delle cose... ci ripeteva che voleva costruire un mondo migliore, dove noi, i Babbani, avremmo potuto  vivere insieme ai maghi, i quali ci avrebbero insegnato la magia. Diceva che il suo progetto aveva un prezzo, sì, e che il prezzo era elevato, ma che poi tutti ci avrebbero ringraziati. Che tutto era finalizzato a un Bene Superiore... io non gli credevo: sembrava tutto così vantaggioso per noi che semplicemente non poteva essere vero...
— La tua intuizione era corretta. — la interruppe Credence. Ricordava quando, tempo prima, Grindelwald nei panni di Graves aveva fatto la stessa promessa anche a lui: gli aveva assicurato che gli avrebbe insegnato la magia, e lui ci era cascato. — La magia non si può imparare...
— Lo so che avevo ragione! Quell'uomo aveva davvero l'aria di un impostore. --  disse lei con forza. In realtà in un primo momento anche lei era quasi crollata, tuttavia non lo avrebbe mai ammesso. — Ma era carismatico... ah, le sue parole! Maeve ne rimase stregata. Era come se qualunque cosa dicesse valesse oro per lei. E in effetti conosceva l'arte del sedurre attraverso l'oratoria... un'arte pericolosa nelle mani di una persona come lui. Maeve non tornò mai più se stessa. Sembrò dimenticare tutto ciò che c'era stato, tutto ciò che lei era stata prima di quel fatidico giorno. Grindelwald diede a Maeve e a me ogni genere di informazioni sul Mondo Magico, in particolare sugli animali fantastici. Ci rinchiuse poi in un edificio completamente bianco circondato da incantesimi per celarlo alla vista di qualsiasi intruso, tra le montagne di Devil's Dyke. Si chiamava "Casa del Silenzio", ed era un laboratorio. Ci spiegò cosa dovevamo fare: esperimenti sulle Creature Magiche. In breve, dovevamo fare in modo da creare creature nuove sempre più potenti, abbastanza da permettergli di usarle per conquistare il mondo. In pochi giorni altre persone si unirono a noi, e fu così che nacquero i Taciti.
— Che... genere di esperimenti? — chiese Newt, pallido in viso.
— Di tutti i tipi. Più crudeli di quanto possiate immaginare... non solo sugli animali, ma anche su umani capaci di trasformarsi in animali: Animagus, Mannari... Maledictus. — si morse il labbro: quegli occhi sofferenti che ogni giorno era costretta a vedere continuavano a perseguitarla. — Cercavano le sue Creature, signor Scamander. Mia sorella e Grindelwald. Negli ultimi tempi stavano facendo degli esperimenti sugli occhi, Maeve organizzava delle spedizioni per uccidere le sue Creature e poi cavarne gli occhi. Compivano questi atti terrificanti e firmavano il loro lavoro come se fosse un'opera d'arte, con una "T". Ho saputo che alcune di queste missioni sono riuscite... mi dispiace davvero, signor Scamander. Odiavo con tutto il mio cuore quello che facevano, ma ero impotente. Ho provato innumerevoli volte a fermare Maeve, ma era come ipnotizzata: non mi ascoltava più, si riteneva superiore a tutti tranne che a Grindelwald. A lui obbediva senza battere ciglio, non importava quanto malvagi fossero i suoi ordini.
Ascoltando quelle parole, Queenie tremava e respirava a fatica. Decise di dar voce ai pensieri che la tormentavano: — Anche io avevo una sorella che è passata dalla parte di Grindelwald. Si chiamava Tina Goldstein. Per caso... è diventata una Tacita anche lei?
— Mi dispiace, non la conosco. Ma no, non può essere... solo i Babbani diventano Taciti. — spiegò Saoirse, prima di riprendere il suo racconto: — Per anni ho covato una ripugnanza totale e ostinata verso quel luogo. E alla fine me ne sono andata. Ho fatto un po' di baccano, ho mandato tutti al diavolo e sono scappata, senza neppure sapere dove andare. A quel punto ho incontrato il ragno parlante, che mi ha condotta qui.   
— E quindi sei in fuga — disse Credence dopo aver ascoltato il racconto.
— E quindi sono in fuga — ripeté Saoirse. — Non potrei tornare indietro nemmeno se volessi... chi lascia i Taciti è perduto, non può tornare indietro e raramente trova un posto dove stare e costruirsi una nuova vita. È solo per questo che non l'ho fatto prima
- Che storia! Davvero, è così emozionante... meglio di un'opera! — Chase Puglio non riusciva a trattenere l'entusiasmo, e Ophélie gli mollò un ceffone sul braccio.
— Devi scusarlo — sospirò Ophélie. — non lo fa con cattiveria, è solo che ama le storie drammatiche... è fatto così.
— No, va bene — disse Saoirse, felice che la tensione si fosse allentata e che iniziassero a fidarsi di lei. A dire il vero, trovava Chase Puglio decisamente simpatico.
— Perdonami, Sasha — disse Martha.
— Saoirse — la corresse. Il suo nome significava tantissimo per lei e non le piaceva che venisse storpiato: lo aveva sempre adorato per la sua rarità, ma dopo gli avvenimenti degli ultimi giorni assumeva ai suoi occhi un significato ancora più speciale e lo portava con fierezza. — Si pronuncia "seer-sha". Significa "libera".
— Comunque sia, come facciamo a sapere se stai dicendo la verità? Puoi provarlo?
— Non ho prove, ma ho di meglio: posso farvi entrare
— In questa... Casa del Silenzio?
— No, nella mia personale villa a cinque piani — disse sarcasticamente. — Certo che mi riferisco alla Casa del Silenzio! Penso che voi abbiate quello che serve per far passare un brutto quarto d'ora a mia sorella —.

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