Io ho lei

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Think nobody sees you
I see you
(Alison Sudol, ICU)

Il vagone si agitava e tremava sulla strada di ciottoli, producendo rumori poco rassicuranti che lo facevano sembrare molto più instabile di quanto non fosse in realtà. Newt sentiva il suo stomaco sobbalzare e ridursi in poltiglia al minimo movimento, come se un gancio lo trattenesse per poi lasciarlo cadere ripetutamente, fino allo stremo. Era un fastidio che poteva sopportare e che, in effetti, trovava piuttosto emozionante; per lui quella stretta allo stomaco voleva dire viaggio, voleva dire avventura, e risvegliava in lui quella natura curiosa che lo spingeva a desiderare di vedere il mondo in ogni suo aspetto, sfiorarlo, sentirlo ostile e invitante davanti a lui. Era quell'amore per il rischio che si stava timidamente facendo strada nel suo cuore, passo dopo passo, pericolo dopo pericolo.
Il letto si estendeva rigido sotto il suo peso; non aveva nemmeno un cuscino, ma il fatto che non fosse il pavimento per lui significava già tanto. Vivere in condizioni quasi normali gli sembrava strano e, per quanto viaggiassero con il circo ormai da giorni, faticava ad adattarsi a quello stile di vita fondato sulla comunità e sull'aiuto reciproco. Era strano vedere persone che ricambiavano quello che faceva. Si distese sul letto che ballava come impazzito a causa degli spostamenti del carro. Per certi versi era anche divertente, era quasi come volare. Newt si limitò a fissare il soffitto di sgargianti travi di legno rosse e gialle, pensieroso. Un vento freddo penetrava dalla piccola apertura di fronte a lui e gli faceva venire i brividi, mentre il cerchio di fuoco del sole si faceva strada prepotentemente tra le nuvole grigie. Quella sarebbe stata l'ultima giornata di viaggio prima di arrivare a Londra, e allora avrebbero dovuto decidere sul da farsi. In altre parole, era la loro ultima occasione per riposare un po'. Il mago chiuse gli occhi nel tentativo di scacciare ogni pensiero, ma il suo cervello non voleva proprio saperne di spegnersi, continuava a lavorare, instancabile, portandogli alla mente ricordi di solitudine e sconforto che credeva definitivamente sepolti nel nulla dell'oblio e ora tornavano a fargli visita, come se fossero insiti nel vento della sua amata e odiata città natale. Ora quei ricordi si combinavano al pensiero di quello che aveva perso e che continuava a perdere ogni istante che passava: Tina.
Cosa fosse stata l'Auror per lui, nessuno poteva descriverlo a parole. Era arrivata quando Newt credeva che nessuno potesse vederlo, lo aveva strattonato per tutta New York e dopo le avventure che avevano passato insieme, il Magizoologo aveva sentito di essere davvero importante per una persona per la prima volta dopo tanto tempo. Lei era semplicemente unica, brillante, determinata, coraggiosa, e amava con un fervore appassionato quello che faceva, esattamente come Newt amava il suo lavoro con tutto se stesso. In quello erano profondamente simili, e qualcosa che andava ben oltre il caso li legava indissolubilmente. Ma lei se n'era andata. Cosa l'aveva spinta a fare quello che aveva fatto, proprio nel momento in cui aveva ottenuto tutto quello che desiderava? Ancora una volta, Newt non trovò risposta ai suoi interrogativi, sentì solo la sua mano che d'istinto correva alla tasca del suo cappotto, dove le dita sfiorarono il tessuto del mantello che era appartenuto a quella pallida imitazione di Tina che si faceva chiamare Thunder. Ormai aveva imparato a conoscere bene la sensazione del tessuto che scivolava tra le sue dita, solcato in più punti da quei simboli indecifrabili. Aveva bisogno di sapere cosa significassero, ma quell'enigma sembrava senza soluzione. Non sapeva cosa Tina avesse voluto dirgli, e mentre rincorreva una risposta tutto quello che rimaneva di lei scivolava via esattamente come la stoffa scivolava tra le sue dita.
Non era solo, sapeva che Queenie e Jacob avrebbero fatto qualunque cosa per lui, ma questo lo faceva sentire ancora più isolato; aveva paura di quei legami. Tutti quelli che si avvicinavano troppo a lui prima o poi finivano per voltargli le spalle e non voleva perdere anche loro. Non aveva mai dubitato dei suoi amici, ma i ricordi che si insinuavano dentro di lui gli sussurravano che si era sempre sbagliato, e presto cedette a essi.

Newt apre gli occhi lentamente, a fatica. Ha la vista offuscata dal sonno e le membra intorpidite, ma qualcosa gli urla di alarsi comunque, e alla svelta. Appoggia i piedi nudi sul pavimento e il freddo gli trasmette un brivido lungo la schiena. Lentamente inizia a rendersi conto di ciò che lo circonda, ma le colorate travi di legno che costituivano il vagone del circo sono sparite. Il luogo in cui si trova è ancora più familiare, gli ci vuole appena una frazione di secondo per indovinarlo: la sua casa d'infanzia a Londra. È una strana sensazione. Sente di vivere in una strana versione del presente, ma allo stesso modo ricorda quel giorno come se lo avesse già vissuto. È il giorno in cui inizia il suo quinto anno a Hogwarts. Quell'anno che avrebbe cambiato tutto, l'anno in cui avrebbe perso la sua unica amica. C'è qualcosa di sbagliato nei suoi pensieri, lui non dovrebbe sapere quello che sarebbe accaduto qualche mese dopo. Senza rifletterci troppo, dà da mangiare al suo cucciolo di Crup e scende le scale fino ad arrivare in cucina, dove suo padre lo aspetta con la faccia affondata tra le pagine di un giornale. Newt non parla, si limita a mangiare osservando la confezione di uova e chiedendosi se le cose sarebbero andate diversamente, se quel giorno avesse deciso di mangiare il bacon al posto delle uova. Perso tra i suoi pensieri, il suo occhio scivola fuori dalla finestra, soffermandosi su un gruppo di ragazzi della sua età. Non riesce a fare a meno di chiedersi come così tante persone possano avere contemporaneamente un legame di amicizia, e come facciano a conoscersi a fondo se devono sempre parlare con così tanti coetanei tutti insieme. Per un attimo prova persino a immaginarsi come uno di loro, ma non ci riesce.
"Quello non è il tuo amico?" chiede il signor Scamander, sollevando lo sguardo.
Newt guarda meglio e riconosce Sebastian, il suo compagno di casa. Subito abbassa lo sguardo e torna a mangiare le sue uova, sperando di non essere visto.
"Perché non vai con loro?" Insiste suo padre. "Staranno di certo andando a King's Cross"
"No, papà" risponde Newt con un filo di voce. "Sebastian è con altre persone adesso, di sicuro non vorrà vedermi"
"Potresti fare amicizia anche con le 'altre persone'. Hai bisogno di conoscere più ragazzi della tua età"
"Papà, lo sai benissimo che io non piacerò mai alle persone, io non sono come loro.  E poi Sebastian non mi ha invitato, significa che lo infastidirei se fossi lì" Newt ricorda bene quella conversazione, è già avvenuta prima, e a ogni risposta si sorprende di non poter fare a meno di usare le stesse identiche parole usate in quella specie di presente già passato. Non riesce ancora a decidere se la vera versione del primo settembre sia quella che ricorda o quella che sta vivendo. È un po' come rileggere un libro per la seconda volta e conoscerne già il finale.
"Se non fai uno sforzo anche tu non piacerai mai a nessuno"
"Ma perché dovrei? Io sono contento come sono adesso"
Newt vede l'espressione di suo padre indurirsi e la sua mascella contrarsi, come quando sta per dire una delle sue frasi offensive.
"Non puoi stare sempre da solo. Ti prenderanno per uno strambo" dice in tono più amaro.
"Non sono solo" costata Newt dopo un istante di silenzio. "Io ho Leta". Appena pronuncia quelle parole sente che c'è qualcosa di falso, le sue parole suonano profondamente sbagliate. Forse perché sa già cosa sta per accadere.
"Leta non è tua amica. Quella ragazza non è altro che una piccola traditrice che ti usa per i suoi scopi, ma in realtà non le importa nulla di te"
"Non dire queste cose su di lei!" le parole scivolano tra le labbra di Newt senza che lui possa controllarle, e una parte di lui vuole davvero difendere Leta a tutti i costi. Nonostante tutto, continua a credere che ci fosse del buono in lei.
"Ti ha abbandonato..." continua l'uomo, posando il giornale sul tavolo.
È a quel punto che Leta appare davanti ai suoi occhi, esattamente come la ricordava. È girata di spalle, ma nulla sembra cambiato da quel giorno in cui tutto è finito. Quando ha rischiato di farsi espellere a causa sua e lei non ha fatto altro che tagliare ogni legame con lui.
"Non ti ha mai amato davvero... nessuno potrebbe"
Lentamente, Leta si gira, e lo guarda negli occhi. Ma il suo volto non è quello scuro e perfetto che si aspettava. Non sta guardando Leta Lestrange, ma Tina Goldstein. Tina, che l'ha tradito, che non lo amava davvero.
"No, non è vero. Lei è buona!" La voce di Newt sembra incredibilmente ingenua, quasi quella di un bambino, e nemmeno lui riesce a capire se la sua esclamazione sia riferita a Leta o a Tina. Alla fine entrambe hanno finito per trattarlo alla stessa maniera, e la voce di Newt di tanti anni prima si fonde a quella dell'adulto in quell'ultimo appello, quella flebile speranza di non essere lasciato solo. Tina si avvicina a lui, allunga una mano per accarezzargli il viso, ma la sua espressione è mutata ancora, mostrando tutta la spietatezza di Thunder. Poi, un'ultima volta, la voce del padre di Newt squarcia l'aria:
"Lei è morta!"

E fu con quel grido che, grondante di sudore, Newt si svegliò, evadendo dalla prigionia del Regno dei Sogni. E allora seppe cosa fare.

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