Qualche cuore si apre

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Vi è una ostinazione in me che non tollera di lasciarsi intimidire dalla volontà altrui. Il mio coraggio insorge a ogni tentativo di farmi paura.
(Jane Austen, Orgoglio e Pregiudizio)

Dopo quella sera, nessuno dormì bene. Coloro che avevano assistito alla morte di Greefoz rimasero immobili, in religioso silenzio. Era successo tutto troppo in fretta e nessuno riusciva realmente a crederci. Persino Owen, che da tempo sapeva ogni cosa, si dondolava sulla sua sedia e pareva turbato: una cosa è vedere il futuro, una cosa è viverlo.
Una domanda sorgeva in quelle menti in subbuglio: "era un nostro nemico?".
La testa urlava: "traditore!",
l'anima ricordava e soffriva.
Newt era tra tutti quello che aveva più ragioni per odiarlo: aveva protetto il circo, sì, ma non si sarebbe fatto problemi a vendere lui. Era stato egoista, meschino, codardo, eppure non riusciva a odiarlo.
Dopo quella che sembrò un'eternità, fu Ophélie a prendere l'iniziativa: intonò un canto dalla melodia triste, in una lingua sconosciuta. Aveva una voce bellissima, sebbene spezzata, profonda e dolce. Uno alla volta, tutti i circensi si unirono e si creò un'atmosfera indescrivibile, sospesa. Newt non riusciva a comprendere le parole di quel canto, ma era sicuro che fosse qualcosa di molto antico, come una specie di rito.
Saoirse si sedette accanto a Newt, ed entrambi osservarono da lontano i circensi che, continuando a cantare, puntavano le bacchette illuminate verso il corpo di Greefoz. Credence, che non aveva una bacchetta, lo cospargeva di una specie di liquido profumato, mentre Owen, aiutato da Martha, lo copriva con un velo che somigliava a un frammento di arcobaleno, dai colori cangianti e così leggero da sembrare quasi impalpabile. In quel momento gli occhi di Martha, lucidi di pianto, divennero gialli e rotondi, come quelli di un rettile. Fu solo un istante, ma Newt era un osservatore. Aggrottò la fronte.
— Ha capito anche lei, vero? — disse Saoirse.
Newt annuì. — Povera ragazza...
La ragazzina non rispose. Si limitò a volgere di nuovo il suo sguardo verso la strana funzione che stava avvenendo davanti ai loro occhi.
— A quanto pare secondo le tradizioni del circo anche i traditori meritano una degna sepoltura — osservò.
— Non essere così dura con lui, — ribatté Newt. — Non era cattivo, aveva solo una volontà molto debole. Non meritava la morte.
— Ha messo a repentaglio la sua vita, signor Scamander. La sua, quella dei suoi amici, quella delle sue Creature... Mi avrebbe riconsegnata a mia sorella, se ne avesse avuto il tempo.

La mattina seguente, come si era ripromesso, Newt andò a parlare con Queenie. Siccome sapeva che non sarebbe stata una conversazione semplice, aveva tentato di prepararle una tazza di cioccolata, ma  era riuscito a ottenere un risultato vagamente accettabile solo al terzo tentativo. Quando fece per bussare alla porta del suo vagone fu sorpreso di sentire un'altra voce femminile oltre a quella dell'amica. Ebbe l'impulso di andarsene e tornare in un altro momento, ma prima ancora che potesse voltarsi, Queenie aveva già percepito la presenza della sua mente.
— Lo so che sei là, Newt! — disse la strega, e con un colpo di bacchetta aprì la porta.
Newt entrò, timido, lo sguardo rivolto in basso.
— Che gentile, ti sei preoccupato perché hai visto che stavo male, ieri sera, e mi hai fatto la cioccolata! — Queenie sorrise, ma Newt vide qualcosa di sofferente nella sua espressione.
— Bene, vi lascio soli — Ophélie, alla quale apparteneva la seconda voce femminile, si alzò e uscì.
— Non sapevo che fosse tua amica — disse Newt dopo un po', non sapendo come iniziare la conversazione.
— Mi stava dando... consigli. Cose così... è una così brava ragazza!
Si sedette accanto a lei e le porse la tazza fumante, che lei accettò di buon grado. — Quando ci siamo incontrati per la prima volta, non hai bevuto neppure una goccia della mia cioccolata — ricordò.
— Già... spero che perdonerai la mia maleducazione di quel giorno — Newt continuava a fissare in basso. Era arrivato con il preciso scopo di parlare con l'amica, ma si rese conto che non riusciva a trovare le parole. La conversazione cadde inevitabilmente sulla brutta faccenda di Greefoz, che Queenie aveva appreso da Ophélie. Sospettava già qualcosa, ma confidò a Newt che persino lei era stata cieca; non si era mai trovata abbastanza vicina a Greefoz da leggere i suoi pensieri senza che si confondessero con quelli degli altri, e lui aveva sempre evitato accuratamente di ritrovarsi solo con lei.
— Non posso fare a meno di chiedermi fino a che punto la sua morte fosse meritata...
Newt aprì la bocca per replicare, ma quella frase gli riportò alla mente il motivo per cui era lì. Non riuscì a dire una parola: scoppiò in lacrime. Quell'improvviso dolore aprì il vaso dei suoi pensieri, liberando le sue preoccupazioni e facendo cadere tutte le difese della sua mente. Anche se avesse voluto, Queenie non avrebbe potuto ignorarlo: tutti i ricordi di Newt la colpirono come un uragano, sentì le emozioni di lui come proprie, e infine seppe. Riuscì quasi a sentire la voce del fratello di Newt che annunciava la morte di Thunder, e non capiva se il dolore che provava fosse il suo o quello dell'amico.
— Tina... — sussurrò Newt, che sperava di fare un discorso di senso compiuto ma non riuscì a dire altro. stava cercando in tutti i modi di credere alle rassicurazioni di Theseus, ma era difficile, maledettamente difficile.
— Va bene così, un nemico in meno da combattere — disse la Legilimens, con una freddezza che non le si addiceva.
— Non è davvero questo che pensi, lo dici solo perché hai paura di essere ferita ancora — Newt non sapeva leggere la mente, eppure aveva proprio ragione.
— Così a lungo lei è stata tutto ciò che avevo... le volevo più bene della mia stessa vita — confidò, e nemmeno lei riuscì a trattenere qualche lacrima. — Scusa.
Piansero tutte le loro lacrime e dopo si sentirono molto meglio, come se attraverso l'oscurità avessero iniziato a vedere una lontana speranza. Se non altro, non erano soli. Queenie trattenne il fiato e per una frazione di secondo il suo volto si illuminò, folgorato da un'intuizione.
— Cosa facciamo ora? — chiese Newt.
— Jacob non deve saperlo, non ora almeno. Non voglio che sappia che il viaggio che faremo da questo momento in poi sarà probabilmente inutile.
— Quindi è così? Non è ancora finita, andiamo avanti?
Queenie prese il suo libro dal comodino, ne sfogliò le pagine e, quando ebbe trovato la parte che cercava, lesse: — "Vi è una ostinazione in me che non tollera di lasciarsi intimidire dalla volontà altrui. Il mio coraggio insorge a ogni tentativo di farmi paura".
Newt lo prese per un sì.
— Se posso chiedere, come mai vuoi continuare a cercarla? Non fraintendermi, è quello che voglio anch'io, ma non ti sei mai fidata di Thunder — osservò il Magizoologo.
— E credo ancora che mia sorella sia in realtà già morta da tempo, ma forse una parte di me non ha ancora perso la speranza... — rifletté la Legilimens. — O forse voglio semplicemente trovarmi faccia a faccia con questa bastarda che me l'ha portata via e ha preso il suo posto.
Newt intuì che c'era qualcos'altro: — Tu hai una teoria, non è vero?
— Newt, vorresti rivederla?
— Sai bene quanto lo voglio — arrossì fino alla radice dei capelli: non si aspettava una domanda così diretta. Avrebbe voluto aprirsi, dirle che viveva nella speranza di poterla abbracciare un'ultima volta, ma non riusciva a trovare neppure una parola adatta. — Conosci i miei pensieri, voglio ritrovarla.
— No, no... intendo, vorresti rivederla adesso?
— Ma è impossibile...
— Forse no, se fai esattamente come ti dico. Quanto sei disposto a rischiare?
— Tutto —.

La voglio una scena Newtina? Sì che la voglio.

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