Messaggi misteriosi

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가면을 쓰고 만나러
indosso di nuovo una maschera
e vengo a trovarti
(BTS, the Truth Untold)

Newt si alzò dal letto, attento a non fare rumore per non svegliare Jacob, lo sguardo fisso nel nulla come ipnotizzato e la mente che ancora indugiava sul tono agghiacciante della voce di suo padre mentre urlava: "Lei è morta". A chi si riferiva? A Leta? A Tina? Probabilmente erano morte entrambe. Ormai non importava, quello non era che un incubo, niente di più. Eppure Newt si sentiva profondamente turbato. Non riusciva a comprendere per quale motivo, tra i tanti, gli fosse tornato alla mente proprio quel ricordo della sua giovinezza. Nemmeno ricordava di ricordarlo e, sebbene quel giorno la conversazione con suo padre gli avesse dato qualcosa a cui pensare, non era stata nemmeno lontanamente terrificante come la versione che la sua mente aveva inventato. Nella sua vita aveva affrontato situazioni ben più spaventose, eppure gli fece un certo effetto ascoltare discorsi su quanto fosse sbagliata la sua solitudine nel momento in cui più che mai ci si aspettava da lui un minimo tentativo di socializzazione.
E poi c'era Leta. Spesso si ritrovava a pensare a lei, a quanto la sua sola presenza avesse stravolto la sua vita. E a come tutto era finito. Continuava a pensare che non meritasse di morire in quel modo, che potesse ancora essere salvata. E pensava lo stesso di Tina. Aveva paura da quando l'Auror gli aveva voltato le spalle per Grindelwald, e ora capiva perché: era esattamente quello che aveva fatto Leta prima di lei, e temeva un epilogo altrettanto tragico. Non aveva mai smesso di incolparsi, convinto di non aver fatto abbastanza per portare Leta alla ragione, non avrebbe fatto lo stesso errore con Tina. La verità era che presto non ci sarebbe stata più alcuna Tina, perché Thunder l'avrebbe uccisa. La maschera che aveva indossato avrebbe preso il sopravvento. Solo una cosa poteva impedirlo: doveva decifrare il suo messaggio. Doveva sapere, perché solo sapendo avrebbe potuto cambiare il corso delle cose e fermare quel fiume in piena che conduceva unicamente a una cascata che non lasciava possibilità di sopravvivenza.
Quando sollevò lo sguardo si rese conto di essere giunto a una porta più larga delle altre, decorata da rune e strani simboli che al Magizoologo apparivano completamente privi di significato. Uno specchio dall'aspetto stranamente lattiginoso lo scrutava dall'alto dello stipite della porta, trasmettendogli un senso di mistero che lo intrigava e lo intimoriva a un tempo. Bussò. La risposta arrivò immediatamente: la voce pacata di Owen apparve per un attimo leggermente arrochita mentre lo invitava a entrare. Newt esitò prima di decidersi ad aprire la porta e farsi avanti, e mantenne lo sguardo basso mentre avanzava attraverso la carrozza. La stanza era più grande rispetto alle altre, con ogni probabilità per far spazio all'ingombrante sedia di Owen e al mucchio di strani oggetti dai quali non si separava mai. L'uomo guardava Newt da sopra gli occhiali, con le labbra leggermente increspate in un sorriso rassicurante.
— Cosa ti turba, ragazzo mio? — chiese Owen, spostando leggermente in avanti la sedia.
— Come ha fatto a capire che qualcosa mi turba? — Newt sollevò il capo, sorpreso.
— Ogni frammento della tua Aura lo suggerisce — rispose con semplicità.
Newt non riusciva a capire cosa fosse esattamente un'Aura, così sorrise in totale imbarazzo e finse di essere d'accordo.
— Le... le persone vengono spesso da lei quando sono in difficoltà?
— La volpe chiederebbe mai aiuto all'aquila?
Ancora una volta, Newt non riuscì a cogliere la metafora, ma qualcosa in lui sembrava conoscere la risposta:
— No... — affermò, un po' incerto.
— Già — Owen sorrise, tra l'intenerito e il divertito. A Newt parve tanto contento che qualcuno fosse riuscito a capire cosa intendeva, ma in realtà il vecchio sapeva benissimo che il Magizoologo non aveva capito un bel niente. Un sottile silenzio scivolò sulla stanza, lasciando i due a fissarsi senza una parola.
— È solo che... — Newt tossì e cercò di interrompere quel momento di imbarazzo che sembrava interminabile. — non vorrei mai approfittare della sua... disponibilità, o disturbare il suo riposo, signore, è l'ultima delle mie intenzioni, so che ne ha bisogno
— Non temere, ti ascolterò con piacere, e puoi chiamarmi Owen
— Grazie, signo... Owen — Newt si sentì in parte rassicurato, così prese un gran respiro e iniziò a spiegare tutto d'un fiato: — vede, ho la strana impressione che Tina non sia Tina e che nemmeno Thunder sia Thunder, eppure sono più che sicuro che Tina sia Thunder, ma io non voglio che Thunder uccida Tina, visto che credo di provare qualcosa per lei; per Tina, non per Thunder, anche se sono la stessa persona e secondo me non lo sono, ma io amavo anche Leta, e questo non mi ha aiutato a salvarla, e stanotte le ho sognate, quindi credo che Tina e Thunder siano come Leta, ecco perché devo tirare Thunder fuori da Tina in modo che Tina possa tornare a essere Tina e non Thunder, quindi ho bisogno di trovare Thunder anche se non vorrei che fosse Thunder e convincerla a essere Tina — Newt arrossì fino alla radice dei capelli nel momento stesso in cui finì di parlare e riprese fiato.
— Tutto chiaro — annuì Owen, che per tutto il tempo era rimasto in silenzio.
— No, non lo è — sospirò Newt. — Non è chiaro neanche per me. È solo che da quando Tina se n'è andata mi sento...
— ...Impotente — dissero entrambi nello stesso momento.
— Mi ha davvero capito? — Newt rimase a bocca aperta, dato che nemmeno lui riusciva a trovare un senso al discorso che aveva fatto.
— La tua storia? No. I tuoi sentimenti? Meglio di quanto credi
— Questo è già estremamente rassicurante — mentre parlava, il mago prese con delicatezza il pezzo di stoffa, sul quale si riuscivano appena a distinguere i contorni dei misteriosi simboli simili ad alberi spogli. — Lei... ci ha lasciato questo —.
Indugiò per un istante, percependo il tessuto liscio sotto le dita, quasi come se non volesse separarsene, poi lo appoggiò sulla scrivania di legno, stendendo le pieghe in modo che i simboli fossero più chiari possibile.
— Affascinante... — borbottò tra sé Owen, girando la stoffa da una parte all'altra per osservarne i simboli da ogni angolazione e piegando la testa avanti e indietro in un continuo movimento che a chiunque altro avrebbe dato giramenti di testa a vita. Posò la stoffa e iniziò a fissare il vuoto. Tamburellò le dita di entrambe le mani sulla scrivania di legno, e sembrava quasi che stesse suonando un pianoforte invisibile, poi tornò a dondolare la testa da una parte all'alta, stavolta con movimenti appena accennati, che seguivano il ritmo delle dita. Dopo qualche istante, l'indovino chiuse gli occhi e prese a fischiettare una melodia, prima sommessamente, poi sempre più forte. Era un motivetto allegro, che ricordava le canzoni che si fanno ascoltare ai bambini. Poco a poco, le note di facevano sempre più lunghe e gravi, fino a ridursi a un unico fischio che andava lentamente spegnendosi. E fu alla fine di quel fischio che giunse la risposta:
— So di cosa si tratta — disse. E lo sapeva per davvero.

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