37.

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"Sorpresa!" disse una voce alle mie spalle. Sussultai nel sentire quel piccolo grido preceduto dall'apertura improvvisa della porta della mia camera. Ormai erano tre settimane che abitavo completamente sola, senza considerare i giorni passati in compagnia di Ryan.

Mi voltai piano per riuscire a vedere la persona che mi aveva fatto spaventare a morte. La prima cosa che vidi furono le stampelle poggiate al muro ed un sorriso smagliante a trentadue denti.

"Ti ho spaventata?" mi disse Taylor, preoccupata.

"Tay! Finalmente!" dissi, saltandole addosso per abbracciarla. Era un momento semplicemente stupendo. Finalmente era riuscita ad ottenere il permesso per le dimissioni ed ero troppo contenta per lei. Ed anche per me, ovviamente. Insomma, avevo sempre odiato rimanere a casa da sola.

"Emma mi sta triturando le ossa!" disse con voce strozzata come se stesse soffocando.

Mi staccai immediatamente da lei per riuscire a farle riprendere fiato. Era ancora troppo debole e non mi sembrava il caso di farla stancare troppo.

"Scusa, scusa." dissi, sistemandole la maglia con piccoli tocchi leggeri. Sorrisi nel vederla di nuovo con me.

"Mi dai una mano a togliermi la felpa?" mi chiese, mostrandomi il tutore nel braccio.
Acconsentii e iniziai a sfilarle una manica e poi l'altra, fino a toglierle la felpa dalla testa.

"Merci." disse, imitando l'accento francese. Taylor aveva frequentato numerosi corsi di lingue alle superiori, perciò era molto brava in questo campo. Io, invece, ero una frana. Ero brava solo nelle materie scientifiche ed ovviamente nelle materie riguardanti la mia facoltà.

"Ehm... beaucoup?" risposi senza nemmeno sapere il significato di quella parola. Il francese era una materia così difficile e complicata da imparare. Non c'era verso di farmela entrare nella testa.

"Beaucoup si utilizza con merci, per dire "grazie mille"." dice, alzando gli occhi al cielo come segno di resa. Come biasimarla? Anche io al suo posto avrei fatto la stessa identica faccia.

"E come dovrei risponderti, allora?" chiesi, scocciata di parlare in un'altra lingua, oltretutto, a me sconosciuta.

"Dovrei dire de rien." dice, incamminandosi verso il divano. Con fare poco interessato, lanciò le stampelle a terra e si sdraiò senza pensarci due volte.
"Mi è mancato il divano." disse, allungando il braccio sano verso il telecomando posizionato sul tavolino accanto a lei. Vidi la sua mano allungarsi sempre di più e le sue esili dita fare giochini nell'aria per cercare almeno di sfiorare quel piccolo aggeggio nero, ma senza ottenere risultati.

"Lascia, faccio io." dissi, avvicinandomi per aiutarla. Presi il telecomando e glielo passai per poi raccogliere le stampelle da terra ed appoggiarle al muro accanto alla porta.
"Torno in camera mia. Se devi alzarti fammi un fischio." le dissi prima di tornare a sistemare i casetti del mio armadio.

"Ma io non so fischiare!" disse, lamentandosi. Per farla stare zitta, raccolsi un cuscino da sopra il mio letto e glielo lanciai addosso.
"Eiii!" si lamentò lei, mettendo il suo solito finto broncio. Senza pensarci due volte, raccolse il cuscino e lo tirò nella mia direzione. Non mi sfiorò minimamente, ma sfortunatamente colpì la lampada posta nel corridoio, facendola cadere. La vidi cadere a terra e trasformarsi in molteplici pezzi di porcellana gialla e bianca.

"Oops!" disse lei, portandosi la mani, o meglio la mano, sulla bocca.
"Ti sei fatta male?" aggiunse poi, preoccupata.

Ero ancora intenta a fissare la lampada frantumata, mentre sentivo il suo delle sue parole alla mia sinistra. Mi girai a guardarla ed iniziai a ridere. Quella risata era venuta fuori senza un motivo ben preciso e, ben presto, contagiò anche Taylor.

Amami (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora