50.

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Ryan's POV

L'avevo baciata. Dopo tanto tempo ero riuscito ad avere le sue labbra sulle mie. Quanto mi era mancato quel contatto. Emma era una ragazza unica ed io avevo fatto un casino, lasciandomela sfuggire.

Camminavo avanti ed indietro da ore, ormai. Un'altra mezz'ora passata così e lungo il corridoio a casa di mio padre sarebbe apparso un solco. Ero in ansia ed era veramente difficile che io lo fossi. Avevo imparato a controllarla, ma in quel momento andarono in fumo tutti gli anni di duro lavoro con me stesso.

"Ryan! Suonano il campanello!" disse mio padre dal piano di sopra. Dentro di me sperai vivamente che dietro quella porta ci fosse la donna che stavo aspettando da ore.

Mi avvicinai alla porta d'entrata, prendendo una bel respiro prima di abbassare la maniglia per aprire.

"Signora Thompson, finalmente!" dissi, non appena vidi la madre di Emma. Sia lei che Taylor stavano cercando di aiutarmi a riconquistare la ragazza dei miei sogni.

"Con Kristen hai risolto?" chiese, entrando a casa e dirigendosi verso il divano, senza nemmeno salutare. A quanto pare, aveva molta fretta di porre fine a questa situazione.

"Fortunatamente sì. Ha trovato un ragazzo e sembra che tra loro vada tutto bene, quindi ha giocato tutto a mio favore. Non dovrebbe rompere le scatole per un bel po'." dissi, richiudendo la porta alle mie spalle. Avevo il cuore a mille. Non potevo aspettare ancora a lungo. Cioè, dovevo assolutamente trovare un modo per riavere Emma.

"Molto bene direi, no?" disse, accomodandosi sulla seduta del divano. "Almeno abbiamo un problema in meno! Comunque sia, Taylor mi ha chiamata e mi ha raccontato che cosa hai combinato a casa di Danielle e Justin. Che cosa ti è saltato in mente!?" chiese con tono piuttosto severo.

"Sinceramente non lo so nemmeno io. Non mi aspettavo di trovarla e quando l'ho vista non ho resistito a baciarla. E quando è andata via, ho chiamato subito Tay per raccontarle in breve ciò che era successo." dissi tutto d'un fiato, intimorito da quella donna, all'apparenza, così dolce e tranquilla.

"E poi lei ha chiamato me per cercare di trovare una soluzione, giusto?"

"Esattamente. O almeno credo sia andata così."

Clover annuì più volte, come se stesse cercando di trovare una soluzione immediata per correggere i miei errori. Amavo Emma, l'avevo sempre amata e non potevo lasciarla scappare da me così facilmente.

"Posso solamente dirti che parlare non è una delle cose migliori da fare. È una ragazza testarda, proprio come me e non ti ascolterà mai, o meglio, non ti lascerà spiegare." aggiunse, infine.

"Lo so molto bene. Quando si mette in testa una cosa, niente e nessuno potrà mai farle cambiare idea." dissi, ripensando ai vari momenti passati insieme. "È una ragazza fantastica, ma non è mai stata amante di varie opinioni o consigli."

Per alcuni istanti, calò il silenzio. Eravamo solo io e lei in salotto, a pensare, senza aggiungere nemmeno mezza parola. Ma mi era davvero difficile riuscire a trovare qualche idea folle in quel momento. Non facevo che immaginare a come sarebbe stato bello poter stringere Emma tra le mie braccia anche solo per un'altra volta. Pensavo alle sue morbide labbra che tanto amavo oppure al suo meraviglioso sguardo che ti portava in un'altra dimensione.

"Ma lei ha cos'ha detto su di me?" chiesi, interrompendo quel momento di imbarazzo che si era venuto a creare.

"È molto confusa, a riguardo. Lei ti ama ancora, lo si può vedere lontano un miglio, ma non riesce ad ammetterlo a se stessa e tanto meno agli altri." disse, scuotendo la testa come segno di disprezzo. "Porta sempre le collana che le hai regalato."

"Davvero?" chiesi incredulo. Mi sembrava impossibile che dopo tutto quello che era successo, portava ancora al collo l'unico oggetto che ci legava maggiormente.

"Sì, davvero. Gliel'ho vista poco fa, ma ho preferito non dirle nulla per paura di confonderla ancora di più."

La nostra conversazione non stava affatto portando a buoni risultati. Più si andava avanti nel discorso, più ci si allontanava dalla soluzione al problema. Stava diventando un incubo, un labirinto per meglio dire.

Clover aveva avuto un sacco di idee, ma nessuna era adatta ad Emma. Erano due donne simili, ma completamente diverse allo stesso tempo. Clover era più stravagante. Amava le cose fatte in grande, organizzate per bene nei minimi dettagli. Mentre Emma era tutt'altra persona. Lei era più semplice nel suo piccolo, non puntava mai troppo in alto. Preferiva le sorprese fatte d'improvviso, fatte con il cuore e non con la testa.

"Siamo giunti ad un punto morto, non è vero?" disse Clover, dopo quasi un'ora di conversazione.

Mi si gelò il sangue a sentire quelle parole. Com'era possibile? Avevo aspettato ore in ansia in attesa di qualche suo consiglio ed alla fine non si era risolto nulla.
Una parte di me mi diceva di non mollare, che tutto si sarebbe risolto, ma, infondo, sapevo che ormai avevo pochissime, se non nulle, speranze con Emma.

Mi odiava, non si fidava più di me. Come potevo essere così stupido da pensare di poterla riavere? Era tutto una perdita di tempo.

"Credo sia giunta l'ora di andare." disse, Clover alzandosi dal divano e venendo incontro a salutarmi.

"Clover?" disse mio padre, scendendo dalle scale. Mi ero dimenticato della sua presenza a casa e mi ero anche dimenticato di dirgli che, beh, fosse ancora viva.

"Oh, ciao George." disse lei con tranquillità. A quanto pare, anche lei si era dimenticata che fino a poco tempo fa anche la figlia la considerava morta.

"T-tu sei v-viva?" continuò lui, balbettando. Come dargli torto? Anche io avevo reagito in questo modo quando ero venuto a conoscenza della verità.

"Ehmm... sì, lo sono. È una storia lunga da raccontare." rispose Clover, sorridendo leggermente. Le sue guance si fecero rosse e nei suoi occhi apparve un bagliore.

"Perché non rimani a cena così mi racconti tutto?" chiese mio padre che era ancora fermo al nono scalino. Aveva sempre avuto il vizio di avere tanta gente attorno ed ogni volta non perdeva occasione di invitare qualcuno a cena. Voleva stare in compagnia e non lo biasimavo per questo. Insomma, mamma era morta ed io ero sempre fuori casa. Era normale che si sentisse solo.

"Certo, molto volentieri." rispose lei contenta. La situazione di stava facendo abbastanza imbarazzante per i miei gusti.

"Ryan cosa vuoi per cena?" mi chiese mio padre, scendendo il resto degli scalini.

"Niente. Non ho molta fame." risponsi, iniziando a dirigermi in camera mia.

Accesi la luce e, dopo aver chiuso la porta, andai a sedermi sul bordo del letto, pensando a qualche altra soluzione.

Nella mia mente vagavano una marea di idee, alcune anche abbastanza decenti, ma nessuna che riuscisse a convincermi pienamente.

Passai l'ora e mezza successiva a rimuginare, quando, d'un tratto, mi venne un'illuminazione che mi avrebbe cambiato la vita.

Amami (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora