42.

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"Tay!" urlai, spalancando di colpo la porta della mia camera. Ero rimasta chiusa all'interno di quella quattro mura anche per troppo tempo. Non avevo la ben che minima forza di alzarmi e uscire di casa, ma, in quel momento, sembrava la cosa giusta da fare.

"Sei uscita, finalmente." disse lei con voce rassicurante e protettiva. Le sue labbra si tirarono lateralmente, facendo sbucare sul suo viso un sorriso pieno di calore.

"Già." dissi, annuendo poco convinta della mia scelta. D'altronde si stava bene seduta sul pavimento, immersa nei miei mille pensieri.

"Hai intenzione di uscire a prendere un po' d'aria, oppure preferisci rimanere chiusa a casa?" mi chiese lei, mettendomi davanti ad una scelta che si rispondeva da sé.

"Credo che uscirò, ma da sola." dissi, avviandomi verso la porta.

Allungai la mano sulla destra per prendere le chiavi appese al muro. Dopo pochi giorni dal mio trasferimento in questa casa, decisi di abbellire le pareti con cose utili. Appesi quadri, misi un appendiabiti per i vari cappotti e posizionai un pezzo di legno con numerosi chiodini per appendere le chiavi. Grazie a questa mia "fantastica" idea, non perdevamo mai nulla. O almeno fino a quel momento.

"Tay hai visto le mie chiavi?" chiesi, non trovandole nel solito posto.

"No." disse lei, mettendo in bocca una cucchiaiata di yogurt alla fragola. I suoi occhi erano concentrati sulla piccola confezione bianca che teneva in mano e non sui miei, come era suo solito fare. La cosa mi turbò parecchio. Insomma, non era da lei. Ogni volta che non mi guardava in faccia era o perché stava mentendo oppure perché voleva evitare di ridere per qualcosa che, normalmente, era inerente a me.

Annuii leggermente ed uscii di casa senza aggiungere mezza parola. Preferivo non approndire la questione. Avevo già troppi pensieri per la testa.

Fortunatamente, avevo lasciato le cuffiette nella tasca dei jeans, così le misi alle orecchie e selezionai qualche canzone a caso, giusto per far passare il tempo.

Non sapevo nemmeno io la mia meta. Camminai a lungo, seguendo qualcosa di invisibile. Era una sensazione strana, come se ci fosse qualcosa simile ad una calamita che mi attirava in un punto esatto, a me sconosciuto.

Senza nemmeno accorgermene, mi ritrovai nel solito boschetto dietro la scuola. Ormai era diventato come un chiodo fisso per me e la cosa mi stava spaventando. Possibile che ogni singola mia mossa potesse, in qualche modo, ricollegarsi a Ryan?

Cercai di scacciare via quel pensiero e mi concentrai sulla canzone che stava scorrendo in quel momento. Era Reforget, una canzone molto poco conosciuta, ma una delle mie preferite in assoluto. Quel semplice testo, ricco di significato, riusciva a rilassarmi in qualche modo. Era una sensazione che provavo solo ed esclusivamente per quella canzone.

Andai a sedermi nella solita e vecchia altalena. Era abbastanza arrugginita, ma, fortunatamente, riusciva ancora a reggere il mio peso.

Il vento scompigliava i miei capelli, mentre facevo su e giù seduta su quella piccola lastra di legno. Le catene cigolavano ogni volta che cambiavo direzione e la mia mente era libera, libera da qualsiasi tipo di pensiero.

"Em?" mi chiamò una voce, distogliendomi dalla musica.

Mi voltai leggermente e vidi una figura maschile sbucare da dietro gli alberi. Allungai le gambe per poggiare i piedi a terra, fermando, così, l'andatura dell'altalena.

"Justin?" chiesi, assicurandomi che fosse lui.

"Esattamente." rispose, fuoriuscendo del tutto. Sul suo volto sbucò un sorriso e si incamminò nella mia direzione per andarsi a sedere accanto a me. "Che ci fai qua?" aggiunse, dopo essersi messi comodo.

Amami (in revisione)Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora