Capitolo 27

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1 settimana dopo

A L A N

Il pranzo e la cena sono i momenti della giornata che tollero di meno.
La mia testa si riempie di pensieri, ogni cosa che la mia forchetta tocca diventa un pretesto per contare quante calorie sto ingerendo, e ognuna di esse mi fa sentire sempre più in colpa.

Invece quando non mangio o mangio poco e salutare, sono in pace con me stesso. Sto bene, e soprattutto mi sento fiero di me.

Abbasso lo sguardo sul piatto della mensa davanti ai miei occhi, e per ogni ragazzo col fisico scolpito che passa davanti al mio tavolo spero sempre di più che il cibo che ho tra le mani sparisca da solo, senza che io lo tocchi.

Eppure ci provo ad essere come loro.
È da tutta la vita che ci provo.

Vado in palestra, faccio pallavolo, rispetto sempre una dieta rigida ed equilibrata nonostante non mi sia stata prescritta, faccio il possibile.
Ma non raggiungo mai i loro livelli, non ottengo mai gli stessi risultati, o gli stessi muscoli che hanno loro.

E sono questi i momenti dove anche solo l'odore del cibo mi fa venire il voltastomaco.

Mi alzo dal tavolo nonostante abbia toccato a malapena il mio pranzo, pronto per andarmene immediatamente da lì anche se so già che è praticamente impossibile che io ci riesca con così tanta facilità.
Brooke e Nathan sono troppo attenti, e hanno notato già da un po' che qualcosa non va.
Con precisione da quando ho iniziato a mostrare apertamente i miei problemi nel "relazionarmi" con i pasti.

Un tempo ignoravo ciò che mi diceva la testa, ma ultimamente sto seguendo il filo logico dei miei pensieri, giusti o sbagliati che siano.
Ed è proprio così che ho scoperto che quando non mangio mi sento meglio con me stesso.

«Alan dove vai? Non hai finito di mangiare.» mi richiama Brooke, come mi aspettavo.

«Ho mal di stomaco, penso che andrò in infermeria per farmi dare qualcosa che mi aiuti a farmelo passare.»

«Ultimamente hai un po' troppo spesso mal di stomaco, non pensi che dovresti andare a farti controllare da un dottore?» chiede Nathan.

Ma so che la sua non è una semplice domanda, è una provocazione per poter studiare la mia reazione.

«Si forse hai ragione, prenoterò una visita.» rispondo velocemente per liquidarlo, per poi uscire fuori dalla mensa prima che anche Rochelle o Bryan seduti al tavolo con noi inizino a insospettirsi.

𝙃𝙖𝙘𝙠𝙚𝙙 𝙝𝙚𝙖𝙧𝙩Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora