Capitolo 38

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R O C H E L L E

Mi sveglio con un groppo in gola, un odore di disinfettante nell'aria e un sordo brusio di attività intorno a me.

La luce accecante dei faretti ospedalieri mi punge gli occhi mentre cerco di focalizzarli, ma tutto è sfocato e confuso.

Nonostante io sia ricoverata qui dentro da un bel po' e oggi mi lascino tornare a casa, sento ancora il corpo pesante, come se avessi appena attraversato un lungo viaggio senza riposo.

La paura al solo pensiero di dover tornare alla normalità inizia a farsi strada nel mio petto, ma cerco di tenerla a bada, concentrandomi su quello che sento.

Alcuni tubi e cavi sono ancora collegati al mio corpo, sento il mio cuore battere forte nel petto, un ritmo costante che mi ricorda che sono viva, che sono qui e che ancora una volta, sono costretta ad affrontare qualsiasi cosa venga dopo.

Mentre mi trovo sdraiata nel letto d'ospedale, i ricordi di tutte le volte che sono stata qui mi travolgono. È come se ogni muro, ogni corridoio e ogni odore familiare mi sussurrassero storie del mio passato.

Ho perso il conto delle volte che ho camminato su questi pavimenti, dei sorrisi che ho scambiato con gli infermieri, dei momenti di paura e di speranza che ho vissuto tra queste mura.

La familiarità di questo luogo dovrebbe rassicurarmi, ma invece mi fa sentire come se fossi intrappolata in un ciclo senza fine.

Mi guardo le braccia, ormai un mosaico di lividi e segni di puntura. Ogni segno è un ricordo doloroso di ogni ago che ha perforato la mia pelle, di ogni momento di debolezza che ho dovuto affrontare.

Mi vergogno di mostrare le mie braccia, anche quando il sole splende alto nel cielo d'estate e tutti intorno a me indossano maniche corte. Mi sento diversa, fuori posto, come se portassi a vista la mia vulnerabilità, come se ogni occhiata fosse un giudizio silenzioso sulla mia salute e sulla mia forza. Così, copro sempre le mie braccia con maglie a maniche lunghe.

Ma anche se cerco di nasconderli agli altri, non posso nascondere la verità a me stessa.

Ogni volta che sento il dolore pulsare nei punti in cui gli aghi hanno penetrato la mia pelle, mi ricordo che non posso scappare dalla realtà. Mi ricordo che la malattia fa parte di me, che non posso semplicemente ignorarla o negarla.

La mia "lotta", però, non si ferma alle mie braccia, ho lividi anche sulla pancia e sulle gambe. Lividi violacei e macchie scure che testimoniano i momenti di disperazione in cui il dolore era così intenso da farmi desiderare qualcosa di più tangibile, qualcosa su cui poter concentrare la mia rabbia e la mia frustrazione.

𝙃𝙖𝙘𝙠𝙚𝙙 𝙝𝙚𝙖𝙧𝙩Dove le storie prendono vita. Scoprilo ora