Deian:
Nella condizione in cui mi trovo, il carcere non mi pesa.
Ho potuto visitare prigioni piu oscure dentro di me, pensieri fissi che non sono mai andati via.
Ho sfiorato la morte così tante volte che ora non mi fa più paura, è quasi diventata mia amica.
Così come il buio. Il silenzio.
Ad un certo punto non temi né senti più nulla, come se tutto ti scivolasse addosso.
Penso che probabilmente il problema sia con me stesso.
C'è qualcosa di talmente sbagliato in me da riuscire a farmi adattare facilmente alle situazioni spiacevoli. Alle cose infelici e cupe.
Eppure.. ricordo che mia nonna quando ero bambino mi diceva sempre che c'è un angolo nel cuore di ognuno di noi, anche nella persona più crudele, dove riponiamo la cosa più cara.
Un angolo nella mente dove collochiamo i ricordi più belli. Un angolo nell'animo dove posiamo il pensiero più ricorrente.
Uno spazio che non si misura, che non si calcola.
Aveva ragione.
Nel mio cuore, nella mia mente e nel mio animo ho da un po' di tempo una sola immagine, una sola visione.
Parlo di una donna: la cosa più bella della mia triste esistenza. Talìa.
L'unico stimolo che ho per andare avanti in questo buco dimenticato dal mondo.
La sua vicinanza è qualcosa di assurdo, pur essendo lontani.
Almeno due volte alla settimana si presenta negli orari delle visite familiari, sperando che finalmente io accetti di incontrarla per pura follia.
È testarda e non si arrende.
Io credo invece che dovrebbe cominciare a comportarsi come il resto della gente normale. Ad essere presente solo quando le cose vanno bene, quando è conveniente, quando è vantaggioso per lei.
Deve smetterla.
Deve allontanarsi da me, come tutti gli altri. Io non voglio che metta piede qua dentro per nessuna ragione al mondo.
Possibile che non riesca a capire?!
Non voglio vederla, non voglio sentire il suo profumo tantomeno la sua voce.
Non voglio guardarla piangere mentre mi spiega quanto stia soffrendo a causa mia, perché non lo sopporterei. Non riuscirei a trascorrere un secondo di più dentro questo posto.
Sarò cattivo, un'egoista del cazzo ma la verità è che non voglio che Talìa venga coinvolta e diventi infelice come lo sono io.
Lei non merita questa vita.
Merita qualcuno di stabile che riesca a realizzare i suoi sogni.
Io non posso prometterle niente di questo. Non perché non voglia ma è difficile da spiegare.
Quindi è meglio così, ho bisogno che mi creda arrabbiato, deluso per la faccenda con la polizia.
Mi deve odiare perché solo in questo modo mi lascerà andare, anche se so bene che la verità è tutt'altra.
Mentre rifletto mi ritrovo a fissare il soffitto grigio della mia cella, fumando e cercando di ignorare le discussioni di questi coglioni che giocano a carte.
Ho due compagni di cella stranieri.
Sto sviluppando una certa tolleranza grazie alle loro presenze, ma oggi è una giornata no per me, perciò li conviene tenere chiuse quelle bocche del cazzo o non risponderò delle mie azioni.
"Se vinco.. permettimi di scoparmi il culo di tua moglie, Medi." Mormora uno dei due albanesi prima di cominciare a ridere.
Espiro il fumo dal naso.
"Solo per una notte. Avanti.. non essere geloso."
La parte malata del mio cervello si aggrappa improvvisamente alla loro conversazione, immaginando quello che non avrei voluto.
Talìa tra le loro mani.
Sto già diventando nervoso.
Faccio finta di niente provando a concentrarmi sui miei piani, grattandomi la nuca più volte.
"Se vinco io invece mi permetterai di sbattermi tua figlia davanti ai tuoi occhi? Ho sempre desiderato scoparmi la figa di una rossa."
Non stanno parlando di lei.
Devo calmarmi.
Che cazzo, nemmeno la cocaina mi sballa più ormai.
"Chi ti ha detto che la mia bambina ha i capelli rossi?!" Il più anziano tra i due alza il tono della voce, mentre l'altro gli strizza l'occhiolino con un ghigno soddisfatto sul volto.
Di solito una mia occhiata è sufficiente a fargli capire di smetterla, ma oggi non sono in vena di avvertimenti.
"Che figlio di puttana! Ti spacco il culo se parli un'altra volta di mia figlia in questo modo!"
Rimango in silenzio fino a quando le urla non diventano troppo forti, innervosendomi tanto da riuscire a sentire i battiti del cuore nelle orecchie.
Salto giù dal letto e prima ancora che me ne renda conto ho preso dal collo il più giovane dei due.
Lo scaravento contro l'armadietto, puntandogli alla gola il coltellino che nascondo sempre tra le fessure della stanza.
"Devi chiudere quella bocca di merda, hai capito? Ne ho le palle piene delle tue stronzate." Ringhio con i denti stretti perché la voglia di pugnalarlo è alle stelle in questo momento.
L'idiota però non risponde.
Si limita a guardarmi dritto negli occhi con il labbro inferiore che trema.
"Non ho sentito bene!" Grido più forte in attesa della sua risposta.
Aggiungo l'incentivo e quando la mia mano colpisce il suo naso con un banalissimo pugno.
Il ragazzo comincia a perdere sangue e ad urlare, accasciandosi a terra per il dolore.
Tipico di questi uomini del cazzo.
Fanno i fenomeni con le persone che glielo permettono ma in realtà sono peggio dei conigli.
"Ho capito! Scusami, scusa Deian.." Alza le mani in segno di resa mentre l'altro rimane alle mie spalle ad osservare la scena, pietrificato dalla paura.
Lancio un'occhiata ad entrambe e delle loro facce terrorizzate immagino già quale sia la mia espressione in questo momento.
"Al posto di rompermi le palle pulite questa stanza, fa schifo." Quando lo dico subito si danno da fare.
Entrambe prendono scopa e paletta e iniziano a pulire la cella nel dovuto silenzio.
Quindi, torno a sdraiarmi sul letto.
Ci sono momenti in cui sento la rabbia esplodermi all'interno come una bomba. Un qualcosa di selvaggio contro questa vita che sta diventando piatta e monotona. Credo che sia normale.
Sono passati due mesi da quando mi hanno chiuso qua dentro. Eppure sembra un'eternità.
"Scalise, avvicinati." La voce della guardia al di là delle sbarre ad un certo punto mi distrae dai pensieri.
Gli lancio un'occhiata dal letto mentre lo scopro immobile ad ispezionare la situazione della nostra stanza.
Come al solito finge di non aver visto né sentito nulla. Si chiama Franco, è il figlio di un vecchio amico di mio nonno, davvero un grande privilegio qua dentro.
"Mandala via." Rispondo di getto e lo sento sospirare quando mi volto di spalle.
So già cos'avrebbe voluto dirmi, perciò l'ho preceduto.
"Perché non provi almeno a parlarci? Quella ragazza ha fatto molta strada per venire a trovarti." Perché non si fa gli affari suoi?
Eppure dovrebbe aver imparato la lezione con tutti gli anni di esperienza che ha alle spalle.
Non è cosa buona ficcare il naso negli affari degli altri. Sopratutto se si tratta di gente come me.
"Franco ti conviene andare via prima che perda la pazienza." Fingo disinteresse mentre continuo a fissare il muro sopra la mia testa.
Sta frequentando Erik ora. Va persino a trovarlo all'ospedale ogni lunedì e venerdì mattina.
Che cazzo di motivo avrebbe per continuare ad assillarmi ogni maledetto giorno?!
Non può semplicemente continuare a vivere la sua vita senza rompermi i coglioni?
"Sei geloso che frequenti un altro ragazzo?" Dice all'improvviso, poggiando le mani intorno alle sbarre di metallo senza immaginare quali danni potrebbe scatenare se continuasse a parlarmi di lei.
Quando salto giù dal letto a castello, il cigolio che ne deriva lo spaventa e si ritrae prima che riesca ad avvicinarmi in tempo per afferrarlo dal collo.
"Devo prenderti a calci nel culo?" Lo fisso e lui incrocia le braccia al petto.
Inclina la testa a destra muovendo contemporaneamente l'indice come se stesse chiamando qualcuno al suo fianco.
"Chi è adesso, Franco?" Ringhio spazientito.
Ed ecco che ad un tratto una figura minuta dal naso arrosato e il volto angelico piomba davanti ai miei occhi, sbucando dal nulla più totale.
Talìa.
Penso che sia impossibile per un attimo.
Non so che cosa dire e fare perché mi sento disorientato all'impatto. Ma la sua pelle che brilla grazie al fascio di luce che penetra dalla piccola finestrella in alto, subito attira la mia attenzione riportandomi alla realtà.
È tutto vero. Lei è qui, difronte a me.
I lunghi capelli biondi le sfiorano le curve del sedere quando sussulta indietreggiando leggermente, mentre stringe tra le dita il tessuto della tuta beige che indossa.
I suoi occhi lucidi invece li sento dentro. Quelle pozze scure che mi perforano non appena si incastrano con le mie come pezzi di puzzle.
Mi sento morire.
Le vene, i muscoli del collo, tutto dentro di me palpita in questo momento.
È bellissima.
"Che casualità eh? Il posto sbagliato al momento sbagliato." Esclama Franco in modo ironico, facendosi da parte.
Non ho tempo di risponderli perché Talìa mi precede, leccandosi le labbra rosse prima di prendere la parola.
Non le ricordavo così colorate e piene.
"Ciao Deian.. Come stai?" Sussurra con il suo solito tono gentile, che tra l'altro l'ha sempre distinta dalle altre ragazze.
È una sua caratteristica che nessuno potrà mai cambiare, nemmeno il tempo.
Mi fissa con il labbro tra i denti, intanto che stringe al petto un porta documenti arancione.
Respiro.
Presto andrà via.
"Che cosa sei venuta a fare?" Le domando incrociando le braccia al petto.
Il mio tono di voce è freddo e lei lo percepisce.
Cazzo. Le sono cresciute le tette.
"Sono venuta a trovarti. Volevo sapere come stavi.. Sono mesi che.." L'espressione sul suo viso si rabbuia quando la interrompo.
"Sto bene. Adesso puoi andartene." Afferro il pacchetto di sigarette dalla tasca del pantalone e ne porto una alla bocca, voltandomi di spalle e incrociando per errore lo sguardo spaventato dei miei compagni di cella.
Sono di nuovo seduti intorno al tavolino bianco, ma nessuno dei due osa, anche solo per sbaglio, posare gli occhi sulla ragazza che si trova dall'altra parte delle nostre sbarre.
Quindi mi siedo con loro e mentre fumo comincio a mischiare nervosamente le carte da gioco per evitare di darle importanza.
Deve andarsene. Subito.
"Sei sicuro che non hai bisogno di nulla? Se accettassi di vedermi in sala colloqui anche solo per cinque minuti potremmo parlare in privato.." È nervosissima.
"Ho detto che non ho bisogno di niente. Sei sorda per caso?" Alzo la voce e il coglione di Franco torna vicino a lei in un secondo.
"D'accordo. Ora basta, è il caso che tu vada via Talìa." Mormora guardandosi attorno per assicurarsi che nessuno dei suoi sia nei paraggi e che quindi non scoprano ciò che ha appena combinato.
È vietato per gli estranei accedere ad alcune zone del carcere senza i dovuti permessi.
Ed è pericoloso per lei.
"Aspetta, ancora un secondo ti supplico." Talìa si rivolge alla guardia prima di avvicinarsi di nuovo alle sbarre.
Sospiro tremante.
"Deian... mi dispiace per tutto. Sappi solo che quello che ho fatto è stato soltanto per il tuo bene. Non avrei mai voluto ferirti." Sibila.
Sento un pugno nello stomaco ad ogni parola che singhiozza. Il dolore e la rabbia mi colpiscono ripetutamente, come una maledizione.
In tutta risposta le rido in faccia e la vedo sbiancare.
"Domani ho la prima ecografia di nostro figlio." Quando sento queste parole scatto in piedi.
Figlio?
Mi rimbomba in testa questa parola per un momento.
Mio figlio.
Lascio cadere la sedia per terra e comincio a camminare avanti e indietro per la stanza, ma lentamente, fumandomi una sigaretta dopo l'altra e anche quel poco che è rimasto della canna precedente.
Lo faccio per tentare di tranquillizzarmi. Ma è tutto inutile.
"Guardami.." Parla di nuovo.
Pressato.
Ecco come mi sento in questo momento.
Incapace di poter prendere in mano la situazione.
E non posso guardarla per davvero. Lei ha questa fottuta capacità di far cadere la mia armatura.
Mi sono promesso di essere forte, se l'avessi mai rivista.
"Sono incinta Deian.." Mormora dandomi un'ulteriore conferma, quando allunga verso di me quella specie di cartelletta colorata.
Posso solo immaginare cosa ci sia dentro, perché ovviamente non l'accetto.
Gliela strappo dalle mani solo per lanciarla ai suoi piedi in modo disgustato e afferrarle con forza i polsi, attirandola contro le sbarre di metallo talmente sporche da aver persino paura di macchiare la sua pelle.
"Deian, che cosa stai facendo? Lasciala!" S'intromette Franco prendendo il teaser dalla tasca del pantalone, pronto per utilizzarlo come difesa contro di me.
Talìa piange scioccata.
Nei suoi occhi leggo la paura, lo smarrimento e la delusione che prova verso di me.
Peggio di una pallottola nel cuore a bruciapelo.
"Non costringermi ad usarlo Deian." Il teaser di Franco mi sfiora la pelle, facendo sussultare Talìa che comincia a sudare freddo in attesa che ascolti l'uomo al suo fianco. Ha gli occhi sbarrati.
Ha paura che mi faccia male?
Cristo. Questa donna è fuori di testa.
"Deian. Lasciami." Si alza sulle punte dei piedi quasi in supplica, poi all'improvviso mi prega di nuovo e succede che la lascio andare per davvero come un coglione.
Come se fossi sotto il suo incantesimo.
La vedo sorridere tra le lacrime. Un sorriso tremante che probabilmente sto solo immaginando ma che è il migliore di sempre.
Perché è l'unico sincero.
"Ti amo Deian. Ti amo per davvero.. e amo anche il nostro dolce bambino." Ecco che in un secondo riesce a distruggere tutte le mie barriere.
Sparisce tutto intorno a noi, voci e rumori, niente e nessuno esiste più se non i suoi occhi che mi guardano ancora come se fossi la cosa più bella al mondo.
Come se avesse trovato un nome a questa guerra che ho in testa.
Come se avesse trovato un senso alla mia vita.
Mi ama..
"Talìa.." Non so che cosa dirle.
Così la sua mano pulita, delicata, afferra la mia che è rovinata dalle cicatrici e completamente tatuata.
La trascina delicatamente sul suo ventre.
Non appena mi accorgo del gonfiore sotto il mio palmo, il cuore comincia a battermi forte.
Rimango a guardarla mentre Franco la trascina via, avvisandola che il tempo è scaduto e che potrà venire a trovarmi presto.
La osservo mentre cerca di dimenarsi per correre da me.
Per tutto il tempo mi guarda con una tristezza profonda che le guizza negli occhi.
Sento come l'angoscia in gola che mi blocca il respiro.
Altri due mesi. Due mesi e grazie ai miei agganci me ne andrò da qua.
Per sempre.
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STAND BY ME.
RomanceIl figlio di uno dei trafficanti di droga più potenti al mondo e una giovane ragazza dei bassifondi Siciliani, proveranno ad ingannare il proprio amore a causa delle differenze sociali e delle obiezioni delle famiglie, per rendersi conto più tardi d...