|𝐂𝐚𝐩𝐢𝐭𝐨𝐥𝐨 𝟐𝟔|

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Pov. Toni

<No! Lasciami!> Urlo disperata volendo entrare dentro casa mia, ma Martin non mi lascia.

<Toni non puoi, stai ferma.> Lo colpisco sulle braccia che mi afferrano la vita sollevandomi anche un po' da terra, ma l'effetto che ho su di lui è pari a zero.

<No! No aspetta!> Urlo tra la disperazione e la rabbia aggrappandomi al cancello di casa per non farmi portare via. Voglio entrare, voglio andare da mamma e papà.

<Toni! Toni!> Dal vortice implacabile in cui sono precipitata sento la sua voce... Crys. Sgrano gli occhi vedendola arrivare da sola di corsa verso di me che vengo posata nuovamente a terra, ma ora i miei occhi sono puntati solo su quella ragazzina abbronzata e con i capelli biondi che in pochi secondi mi salta sopra stringendomi forte.

<Tu... tu che ci fai qui? Ti stavano portando via...> La stavano portando via, ero da lei stanotte proprio perché l'avrebbero portata via gli assistenti sociali in una famiglia migliore dopo che ho raccontato tutto su chi erano quei mostri e come si comportavano.

<I Fenrys. Sono intervenuti, resterò da loro e avvieranno la procedura per prendermi in affido. Resterò insieme a te.> I miei occhi diventano lucidi mentre stavolta sono io ad abbracciare lei non potendo credere di non averla persa e...

<Ragazze spostatevi...> La voce di Martin mi riporta al motivo per cui sono per strada e del perché ho le mani rosse. Mamma. Papà. Mi separo da Crystal pronta a lasciarle la mano quando mi blocco nel momento in cui la porta si apre e dalla speranza di vedere i miei genitori passo allo shock. Due uomini vestiti di bianco trasportano una barella coperta con un lenzuolo bianco, ma sono enormi... sono più grandi di me.

<Toni...> Due calde braccia mi stringono a sé e con quel contatto riesco a distinguere il freddo della strada sotto le mie gambe.
<Toni! Toni!>

Apro di scatto gli occhi tirandomi su e scoprendo di non essere per terra. Non sono davanti casa mia, non sono con i miei genitori e... e non sono con Crys. Quelle immagini non provenivano da un incubo, ma dai miei ricordi che riemergono a volte quando dormo e mi portano a dare un pugno contro il materasso; quel gesto però fa risvegliare i tendini del braccio indolenzito dopo ieri e quella scarica di indolenzimento mi arriva fino alle spalle e giù lungo la schiena.
Prendo il telefono che in realtà non ricordavo neanche di averlo messo in carica durante la sbronza che mi ero presa e che mi ha lasciato un bel regalino: una pesantezza sulla testa incredibile. Con mio grande sollievo però non trovo alcuna notifica per missioni o chiamate perse. Ottimo. Un'altra cosa non buona è che sono le nove di sera e ormai non posso dormire sia perché non ho sonno essendomi addormentata nel primo pomeriggio e secondo perché non oserò dormire tanto presto dopo quell'incubo. Mi alzo dal letto scoprendomi sudata e questo mi porta solo a dover fare un doccia, così recupero l'intimo e un paio di jeans neri aderenti e poi mi infilo nel bagno.

<Resterò insieme a te.>

E invece no! Non ci è rimasta maledizione! Colpisco addirittura le piastrelle della doccia e lì capisco che quell'incubo ha infiammato solo di più il mio umore già nero come le tenebre. Ho bisogno di uscire. Una volta asciugata esco dal bagno con l'intimo e i jeans già indosso pronta ad andare a prendere un qualcosa per sopra e armarmi per uscire quando però noto qualcosa di bianco per terra vicino alla porta d'entrata. Che diamine... Confusa mi chino a prendere quello che alla fine è un foglietto di carta e...

Safe Place

Queste sono le uniche parole scritte con al di sotto un numero di telefono e il tutto battuto al computer in modo da nascondere la scrittura. Chi è stato? Di chi è il numero? E soprattutto perché lasciarmelo? Io non ho bisogno di un posto sicuro, posso difendermi benissimo da sola. Un secondo ragioniamo, sono alla base nessuno oltre l'organizzazione conosce questo posto, ma perché un membro dei Serpents penserebbe che non sono al sicuro? Deve essere uno scherzo sicuramente.
Appallotto il biglietto infilandolo in tasca con il pensiero di buttarlo il prima possibile, ma adesso il mio unico obiettivo è uscire. Ed è proprio quello che faccio una volta che indosso una maglietta nera con la sua collana che ha un cristallo come pendente e che infilo al di sotto del tessuto cosciente che potrebbe vedersi tramite l'apertura della maglietta che ha sul petto. Mi armo di una pistola e un coltellino richiudibile non volendo cercare guai stasera, ma ciò non toglie che uscirò disarmata. Nonostante la pesantezza di testa voglio solo alcol e vuoto. Un momento di vuoto. Con giacca in pelle sempre nera e un cappellino da baseball dello stesso colore in cui raccolgo parzialmente i capelli esco dall'appartamento che chiudo a chiave per poi uscire per le strade di Manhattan a piedi. Non voglio morire in un incidente stradale per una sbronza.
Cammino senza una destinazione precisa e in qualche modo riesco a godermi il passare delle macchine e delle persone intorno a me ognuna con dei pensieri, con delle cose da fare, con un passato e con qualcuno che lo aspetterà. E chi aspetta me? Chi adesso è in attesa che torni? Nessuno. Ecco chi.
Dopo una lunga passeggiata entro al primo bar che pare convincermi e di cui apro la porta con una mano sola mentre tengo la testa leggermente china. Nessuno bada alla mia presenza e io non calcolo nessuna di quelle se non gli ospiti d'onore dietro il bancone.

My exception is you - Un amore pericolosoDove le storie prendono vita. Scoprilo ora